Evasione, Schlein: “Troppo facile eludere il Fisco in Europa”
Servono normative Ue omogenee e una black list dei paradisi fiscali
Di Tommaso Cinquemani
@Tommaso5mani
Prima lo scandalo LuxLeaks, con le multinazionali che pagavano tasse irrisorie facendo accordi (tax rulings) con il governo lussemburghese. Poi l'indignazione pubblica per i grandi marchi della tecnologie che eludevano le tasse attraverso complicati giochi societari. Ora i Panama Papers. Che cosa si sta facendo in Europa contro l'elusione e l'evasione fiscale? Lo abbiamo chiesto a Elly Schlein, eurodeputata di Possibile (il movimento fondato da Pippo Civati), ex Pd, nata in Svizzera e da sempre attenta al mondo dell'evasione.
Schlein, in Europa é così facile evadere le tasse?
“Non é facile, ma ci sono una infinità di schemi per l'elusione e l'evasione. Ricordiamoci che ci sono multinazionali che stringono accordi con governi per strappare aliquote irrisorie. E lo fanno approfittando di 28 sistemi fiscali, ancora troppo distanti tra di loro. In questo modo ogni anno ci sfuggono mille miliardi di euro. Per questo servirebbe una integrazione delle politiche fiscali a livello Ue”.
Che cosa si intende per 'integrazione'? Un Fisco unico per tutta l'Europa?
“Non significa fissare aliquote uguali in tutta l'Unione, quanto piuttosto definire standard comuni. Ad esempio é ferma da anni al Consiglio una direttiva sulla 'Base imponibile consolidata comune' che definisce dei criteri unici con cui si dovrebbe calcolare in Europa la base imponibile”.
A livello internazionale che cosa si sta facendo per combattere gli evasori?
“Il G20 ha incaricato l'Ocse di mettere in campo una strategia anti Beps (Base Erosion and Profit Shifting, ndr) la quale contiene strumenti importanti, anche se con portata limitata visto che molti governi, pur dichiarando di voler combattere l'evasione, poi sono restii a prendere decisioni forti”.
Quali sono gli strumenti che l'Europa dovrebbe adottare per combattere l'evasione?
“Lo scambio automatico di informazioni prima di tutto, che si estenda anche ai Paesi in via di sviluppo, perché anche da lì escono cifre importanti. Molte compagnie europee utilizzano questi Paesi come paradisi fiscali stringendo accordi in cambio di investimenti”.
E poi?
“La Commissione si sta occupando della rendicontazione Stato per Stato, il cosiddetto CBCR (Country by Country Reporting, ndr). Uno strumento fondamentale che impone a tutte le multinazionali di comunicare quante tasse paga, quanti profitti fa e quanti sussidiarie ha in ogni Paese. Ma la proposta dell'Ocse, che la Commissione pare voglia riprendere, ha varie falle”.
Quali?
“Primo, si propone di rendere vincolanti questi accordi solo per le aziende con un fatturato superiore a 750 milioni di euro. Secondo, noi chiediamo che queste informazioni siano rese pubblicamente accessibili, in modo che giornalisti ed altri stakeholder possano analizzarle. Terzo, devono riguardare le attività anche fuori dall'Europa”.
I Panama Papers hanno evidenziato come società e privati cittadini usino prestanome per nascondere i loro soldi. Come se ne esce?
“Il Parlamento europeo ha già chiesto che vengano resi noti i nomi di chi sta dietro trust e fiduciarie. Serve poi una lista europea di giurisdizioni non cooperative e una definizione condivisa di paradisi fiscali”.
Questo basterà?
“Occorre anche che si rivedano i trattati fiscali stipulati con molti Paesi che avevano lo scopo di evitare la doppia imposizione, ma che di fatto sono usati dalle multinazionali per eludere le tasse. Noi chiediamo che le tasse si paghino dove vengono generati i profitti”.
L'Italia in questo scenario come si colloca?
“Ho presentato al Parlamento pochi giorni fa un rapporto insieme ad Actionaid sui trattati fiscali che spesso non garantiscono una equa distribuzione dei diritti di imposizione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, riducendo le imposte pagate dalle multinazionali. Sulla base della ricerca effettuata su più di 500 accordi che i paesi ad alto reddito hanno stipulato negli anni con paesi in via di sviluppo risulta che purtroppo l'Italia é, con l'Inghilterra, in cima alla classifica”.
Però nel mondo ci saranno sempre Stati che decideranno di essere paradisi fiscali. Il rischio non é che con questi provvedimenti si abbia come unico effetto quello di spingere ancora più lontano i capitali?
“I Paesi che dovessero non adeguarsi a questi standard rimarrebbero profondamente isolati. Anche la Svizzera, che non fa neppure parte dell'Ue, ha dovuto capitolare e rinunciare al segreto bancario. Nessun Paese può sopportare le ricadute di essere inserito nelle black list. Poi certamente dobbiamo agire a livello di imprese, vigilando su come le multinazionali operano, dove fanno profitti e dove pagano le tasse”.