Cronache

Carceri, stranieri il 34% dei detenuti. Crisi e fallimento dell'integrazione

Antonio Amorosi

Gli immigrati sono il 10% della popolazione ma il 34 % dei detenuti. Dal ministero della Giustizia il dato che mostra il fallimento dell'integrazione in Italia.

Gli immigrati in Italia hanno raggiunto, tra regolari e irregolari, la percentuale del 10% circa della popolazione (5 milioni 958 mila). Ma su ogni 10 persone detenute complessive nelle nostre carceri 3 e mezzo (quasi) sono immigrati, per il 33,91% del totale. Un dato allarmante, pubblicato dal ministero della Giustizia e che fotografa le carceri italiane il 30 settembre scorso. Su 59.275 detenuti complessivi 20.098 sono immigrati. Tra questi il 18,7% sono di nazionalità marocchina, il 12,7% romeni, il 12,6% albanesi, il 10,4% tunisini e il 6,8% nigeriani, solo per indicare le nazionalità più emergenti.

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Certo questo non vuol dire che gli immigrati siano dediti al crimine più degli italiani (quasi che in qeusto vi fosse un elemento etnico). Sarebbe stupido anche solo pensarlo. 

Così come paragonare gli attuali flussi migratori che interessano il Belpaese a quelli di inizio secolo, degli italiani negli Stati Uniti o nel dopoguerra in Germania o in Belgio (usiamo questi due flussi europei come esempio). Diffidate da chi non analizza ogni processo migratorio inscrivendolo nel suo quadro storico e geopolitico, analizzandolo cioè per le sue peculiarità. 

Gli Stati Uniti, la Germania e il Belgio erano, nei periodi in oggetto, Paesi in fortissima espansione economica e che cercavano immigrati. L'Italia attuale è invece in recessione da quasi quindici anni (gli immigrati quindi arrivano in un Paese in recessione con gli effetti che ne conseguono sul mondo del lavoro). In Germania e in Belgio si giungeva, sia per numeri che per mansioni, in quanto manodopera richiesta dai Paesi d'accoglienza. D'altro canto è altrettanto stupido dire: “altro che immigrati nelle carceri, gli immigrati italiani hanno portato la mafia nel mondo”, riferendosi principalmente agli Stati Uniti, cioè alla stagione del gangsterismo anni '20 e d'intorni del secolo scorso. Se così fosse occorrerebbe spiegare come mai in Germania e in Belgio non si sono riscontrati gli stessi livelli di criminalità immigrata italiana nei periodi in oggetto né percentuali di detenzione così significative. 

Ogni flusso migratorio è lo specchio della società in cui si è sviluppata e mostra la capacità che hanno i Paesi di accoglienza di regolare i flussi o anche solo di volerlo fare.

Se vi è un legame fra immigrazione e criminalità questo sta nella capacità di mostrare quale integrazione vi sia nel Paese ospitante o di accesso e quale volontà di integrazione mostri la popolazione che vi arriva.

 

Più stranieri in Italia non vuol dire in proporzione più reati. Dal 2007 al 2015 il numero degli stranieri residenti in Italia è quasi raddoppiato ma i detenuti si muovono su percentuali simili (dai 18.000 ai 21.000 detenuti). Quindi le percentuali oscillano sugli stessi numeri.

 

Un ruolo fondamentale sulla percentuale di soggetti stranieri che commette reati è giocato dalla condizione di clandestinità. Secondo uno studio della Rodolfo Debenedetti Foundation del 2013, il 90% degli stranieri che si trovano nelle carceri italiane sono degli irregolari. Dati simili sono stati indicati anche dal ministero dell'Interno. I reati più diffusi tra gli immigrati sono legati ai traffici e alle attività connesse agli stupefacenti.

Questo non vuol dire che rendendo “regolare” chi non lo è si estingua per questi ultimi la possibilità di commettere reati. Ma val bene il ragionamento contrario. Più irregolari vi sono su un territorio più reati è possibile che questi commettano. Lo specchio delle carcere mostra la massa di soggetti che, per varie ragioni (tra cui quella che esistono ancora gli Stati che legiferano per i proprio cittadini che per generazioni hanno costruito quel Paese, pagato tributi, ecc...) non hanno titolo a restare in Italia e che invece vi restano lo  stesso. A fronte poi della recessione in corso e del sistema economico e sociale finiscono con maggiore facilità nelle maglie della criminalità organizzata e di attività consimili.