Cronache

Case popolari, documenti aggiuntivi per gli stranieri. Caso Lodi in Friuli?

Case popolari in Friuli: è’ previsto che tutti i cittadini extra Ue attestino l’inesistenza di proprietà “nel paese di origine e nel paese di provenienza"

Nuovo caso Lodi questa volta in Friuli? Per avere una casa popolare in Friuli Venezia Giulia serviranno cinque anni di residenza, ma se si è stranieri bisogna presentare una documentazione aggiuntiva non prevista dalla legge nazionale. Una fattispecie ritenuta “irragionevole e fortemente discriminatoria” dagli esperti.

Il ddl approvato dal Consiglio regionale - si legge su http://www.agenzia.redattoresociale.it - prevede che dall’accesso sia agli alloggi di edilizia pubblica sia ai contributi per il sostegno alla locazione sia escluso chiunque abbia la proprietà di un alloggio “sia in Italia che all’estero”. Tale previsione - secondo Asgi - non tiene conto che “la proprietà di un alloggio qualsiasi nel Paese da cui si è emigrati, se deve sicuramente rilevare ai fini del reddito, non può pregiudicare in assoluto il diritto al sostegno abitativo nel luogo ove si è emigrati”. Ed è soprattutto discriminatorio: “se è vero che il divieto viene meno qualora il richiedente produca un certificato di inagibilità dell’alloggio, per il migrante sarà normalmente impossibile procurarsi detto certificato, spesso non previsto dalla normativa del paese”.

E’ previsto che tutti i cittadini extra Ue attestino l’inesistenza di proprietà “nel paese di origine e nel paese di provenienza “mediante documentazione rilasciata dalle competenti autorità tradotta e asseverata dall’autorità consolare italiana in detti paese”. Quest’ultima previsione, è simile a quella introdotta a Lodi ed è per Asgi “particolarmente irragionevole e in contrasto con la normativa vigente perché secondo la legge la condizione reddituale dei richiedenti è documentata mediante l’Isee e la relativa normativa (DPCM 159/13) prevede già una dichiarazione in ordine alle proprietà immobiliari all’estero, identica per italiani e stranieri e soggetta, prima del rilascio dell’Isee, alla verifica delle autorità competenti. Inoltre, l’Isee, che non è una autocertificazione, ma un’attestazione pubblica del livello di reddito e di patrimonio – è il documento che il legislatore nazionale ha stabilito come criterio per identificare il "livello essenziale delle prestazioni" da garantire su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’art. 117 della Costituzione. Per questo non è consentito alla singola Regione pretendere ulteriori integrazioni al procedimento previsto, ferma ovviamente ogni possibilità di controllo successivo.

Secondo Asgi, il duplice riferimento al “paese di origine e di provenienza” imporrebbe al migrante una duplicazione della documentazione, spesso riferita a paesi nei quali non soggiorna più da decenni o riferita a paesi nei quali non ha alcun riferimento (si pensi al migrante di “origine” centrafricana, ma “proveniente” dalla Libia); inoltre non si tiene conto che tali certificazioni non sono previste in molti ordinamenti stranieri e quindi siano impossibili da ottenere. Non solo, ma i costi per la loro traduzione ed autenticazione verrebbero ad essere spesso sproporzionati rispetto al beneficio richiesto (soprattutto nel caso del beneficio del sostegno alle locazioni). Infine la legge è in contrasto con la disciplina della Ue che, in particolare per i titolari di permesso di lungo periodo, prevede la parità di trattamento nelle “procedure per l’ottenimento di un alloggio” e dunque anche nella documentazione da produrre.

Per questo si parla di “una disciplina irragionevolmente differenziata in ragione della cittadinanza, posto che gli strumenti di controllo a disposizione dello Stato sulle proprietà all’estero sono identici per italiani e stranieri - continua Asgi -. Non vi è ragione di elevare questa “barriera all’ingresso” per i soli stranieri che comporterà in molti casi la loro ingiustificata esclusione sia dall’alloggio pubblico, sia dal sostegno economico alla locazione”.

Sulla stessa scia anche Walter Citti, il Garante regionale delle persone a rischio discriminazione. “La nuova legislazione che verrebbe a definirsi è suscettibile di determinare esclusione per i cittadini di paesi terzi dalle politiche abitative - spiega - In particolare con la richiesta di documentazione aggiuntiva rilasciata dal paese di origine, che è spesso difficile da ottenere. Inoltre, anche se ottenibile comporta spese sproporzionate rispetto ai benefici richiesti e in ogni caso determina una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità”. Secondo il Garante è di dubbia legittimità  la fattispecie riguardante i lungosoggiornanti che dovrebbero invece avere parità di trattamento sia nelle procedure che della documentazione. “Anche sulla base dei dati Istat sappiamo che la popolazione straniera è quella più a rischio di povertà ed esclusione abitativa - conclude - Una legge come questa chiaramente questo può determinare un impatto sociale escludente con rischi evidente anche nel tessuto sociale”. (ec)