Cronache

Caso Moro,la verità sulla soffiata di via Gradoli:la notizia arrivò da Cosenza

Stefania Limiti

“La soffiata su via Gradoli? Più che lo spirito di La Pira poterono Piperno e Andreatta”

Chi non ricorda la storiella della seduta spiritica durante la quale il piattino impazzito, interpretando il pensiero del fu La Pira, compose la parola Gradoli? Fino ad oggi si è sempre saputo che l’informazione che Aldo Moro si trovasse prigioniero a ‘Gradoli’ provenisse dagli ambienti dell’autonomia bolognese. Oggi, da fonti della Commissione Moro 2, sappiamo che non è così. Le indicazioni provenivano dall’Università di Cosenza: fu il professor Franco Piperno a confidarla a Beniamino Andreatta. E la faccenda merita molta attenzione. Vi spieghiamo perché.

La famigerata seduta spiritica è uno dei capitoli più assurdi dell’infinito ‘caso Moro’, ancorché la chiave di uno snodo, quello di un covo brigatista individuato durante i 55 giorni del sequestro del presidente della Dc ma poi salvato insieme ai suoi inquilini, cioè il capo delle Br Mario Moretti e la sua compagna di allora, Barbara Balzerani. In breve: ci troviamo in via Gradoli, traversa della grande via Cassia al Nord della Capitale.

Proprio lì da tempo, all’interno di uno stabile di proprietà dei servizi segreti, le Brigate rosse hanno un covo che rimane attivo durante tutta la loro azione più importante (pazzesco e contro ogni regola di auto-tutela, di lì passano da qualche anno decine di brigatisti!). Il 6 aprile di quell’anno cruciale, diciotto giorni dopo la strage di via Fani, il nome di quella via, Gradoli, arriva sui tavoli del Viminale ma gli sbirri di Cossiga, anziché recarsi sulla Cassia, decidono di andare a perquisire il ridente paesino che sorge sulle coste del Lago di Bolzena (molto tempo dopo, nel 2008, avremmo appreso da un documentario di Carlo Infanti che fu solo una messa in scena). <>: ne abbiamo sentite di tutte da allora in poi ma nulla potè coprire la vergogna del clamoroso fallimento (l’indicazione ‘via Gradoli’ era stata data anche da un appartenente alla Gladio, Francesco Cancedda). La vicenda è stata anche causa di un violento scontro tra Cossiga e Eleonora Moro che lo accusò apertamente, con tutta la rabbia che poteva, di non aver voluto andare nel posto giusto. Da dove era arrivata la soffiata? Non si è mai saputo.

La fonte doveva essere così blindata che si decise di far ricorso ad una tecnica che avrebbe certamente impedito qualsiasi possibilità di fare chiarezza: si disse che il nome ‘Gradoli’ saltò fuori grazie ad una divina intercessione. Il 2 aprile precedente, mentre le Brigate rosse cercano una via d’uscita alla loro clamorosa azione tenendo un ostaggio che sta facendo lui il processo alla Dc, in quel di Zappolino, vicino Bologna, alcuni amici, accademici dell'università di Bologna, passano la giornata insieme alla loro famiglie: si fa penombra e tra uno scherzo e l’altro, per ingannare il tempo, Romano Prodi, Alberto Clò e Mario Baldassarri, cercano di rendersi utili chiedendo agli spiriti dei padri del grande partito cattolico di farsi sentire dall’alto dei cieli indicando, magari, dove si trovi Aldo Moro, sì da poterlo salvare. Capite che la faccenda era davvero strana .. Nel corso negli anni si è poi consolidata una versione in base alla quale gli ambienti dell’Autonomia bolognese avessero fatto l’importante segnalazione.

Pure Giulio Andreotti nel ’97 emise un ghigno per dire che gli spiriti non c’entravano e che bisognava guardare ai compagni dell’Aut Op di Bologna. Oggi, e per la prima volta, ne sappiamo ben di più. Apprendiamo infatti da fonti della Commissione Moro 2 che tutto ebbe iniziò tra le aule dell’Università di Cosenza, feudo dell’insigne professor Nino Andreatta, e dove insegnava Franco Piperno. Questi, capo dell’Autonomia e protagonista ‘laterale’ del caso Moro, amico di Valerio Morucci e Adriana Faranda, disse all’altro, stretto amico di vita e di lotta di Romano Prodi e degli altri convenuti a Zappolino che proprio lì, in quella via romana, potevano andare a mettere le mani per rompere il cerchio dentro al quale agivano i sequestratori. La notizia, smentita da Piperno ("si figuri se è vero! Io Andreatta forse l’ho visto un paio di volte in vita mia. Non so proprio che dire, e mi guardo bene dal seguire i lavori di questa Commissione d’inchiesta, mi è bastata l’inutile audizione che mi fecero in quella precedente!") è assicurata da un ex terrorista che ancora non ha dato una deposizione formale e dal quale ci si aspetta, speriamo non invano, un contributo pubblico che possa consentire di ricostruire in modo più credibile quel capitolo del caso Moro.

E che possa magari poi indurre anche il professor Prodi a sciogliere i suoi ricordi. Il segreto che ruota intorno alla questione ‘via Gradoli’, in parte, può essere compreso considerando che la vicenda poteva condurre ad un ben diverso esito del sequestro se fosse stata condotta diversamente. E non è poco. Il fumo che ha avvolto la fonte ha consentito di far rimanere nell’ombra tutta la dinamica della mancata scoperta. Ma la rivelazione che ci consegna la Commissione Moro 2 consente anche di comprendere quanto abbiano pesato in quei 55 giorni, anche nel flop delle varie trattative intraprese, lo scontro interno delle Br e la corsa all’egemonia dell’area politica e sociale dell’antagonismo che si aprì tra l’ala militarista di Moretti e quella movimentista legata a Morucci e Piperno. Ci si può riempire un libro. Ma per ora basti ricordare le parole di Francesco Cossiga: "Se fossi l'avvocato di Prodi gli consiglierei di continuare a mentire  sulla vicenda Moro. So anche che Andreatta non ha partecipato alla seduta spiritica ma era in quella casa". Parola di un presidente picconatore.