Codici identificativi per le forze di polizia? Scontro Amnesty-sindacato
Con la campagna “Forza Polizia, mettici la faccia”, Amnesty International chiede di dotare gli agenti di codici identificativi durante le operazioni di ordine pubblico. Non si è fatta attendere la risposta del Sindacato Autonomo di Polizia: “Mettiamo volentieri la faccia. Ma con le telecamere”
Utilizzo di codici identificativi alfanumerici sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico? E’ il contenuto della campagna “Forza Polizia, mettici la faccia” promossa da Amnesty International, che ha rivolto un appello al Ministro dell’Interno e al capo della Polizia precisando che la campagna “non è contro le forze di polizia, che sono attori chiave nella protezione dei diritti umani”. “Affinché questo ruolo sia riconosciuto nella sua importanza e incontri la piena fiducia di tutti- spiega Antonio Marchei, presidente di Amnesty International Italia- è però fondamentale che eventuali episodi di uso ingiustificato o eccessivo della forza siano riconosciuti e sanzionati adeguatamente, senza che si frappongano ostacoli all'accertamento delle responsabilità individuali”. L’organizzazione umanitaria parte dai fatti risalenti a diciassette anni fa, “benché le violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani commesse in occasione del G8 di Genova siano state accertate in giudizio – si legge in una nota, molti fra gli appartenenti alle forze di polizia coinvolti sono rimasti impuniti, in parte proprio perché non fu possibile risalire all’identità di tutti gli agenti presenti. Già nel 2012 il Parlamento europeo approvava una risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2010-2011) in cui, alla raccomandazione n. 192, si sollecitavano gli stati membri “a garantire che il personale di polizia porti un numero identificativo. Diversi stati dell’Unione europea hanno dato seguito a questa richiesta, ma non l’Italia”.
“L’introduzione di misure come i codici identificativi per gli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico rappresenta non solo una garanzia per il cittadino, ma anche una forma di tutela per gli stessi appartenenti alle forze di polizia: una misura che non dovrebbe essere temuta né avversata da chi svolge il proprio lavoro in maniera conforme alle norme e agli standard internazionali sui diritti umani”, ha concluso Marchesi.
La campagna di Amnesty International - si legge su http://www.agenzia.redattoresociale.it - è accompagnata da un video, e l’organizzazione per i diritti umani auspica che su questo tema possa essere avviato un dialogo costruttivo con tutte le parti interessate, compresi i sindacati delle forze di polizia. Alla campagna hanno aderito A Buon Diritto, Antigone, Associazione Stefano Cucchi Onlus e Cittadinanzattiva.
La risposta della SAP. Non si è fatta attendere la risposta del Sindacato Autonomo di Polizia che, attraverso il suo Segretario Generale Stefano Paoloni, spiega: “Accettiamo l’invito a metterci la faccia. A dire il vero la faccia ce la mettiamo ogni giorno, quando scendiamo in strada a tutela della sicurezza della brava gente, ma possiamo fare di più. Anche di più di quanto chiede Amnesty International. La faccia siamo disposti a metterla con telecamere sulle nostre divise, auto di servizio e celle di sicurezza, in modo da documentare con video e audio, ogni singolo respiro di un intervento di Polizia. Le telecamere – prosegue Paoloni – sono uno strumento di trasparenza e verità che non perdonano nessuno e sono al centro delle nostre proposte di idonee garanzie funzionali. Con le telecamere sulle divise, da anni tra le proposte del Sap, oltre a riprendere l’operato degli agenti, sarà possibile riprendere anche le reazioni di quanti denunciano abusi durante cortei o agli stadi, per poi rivelarsi professionisti del disordine pubblico. Il numero identificativo – continua – è un metodo molto vecchio e poco efficace che presta la spalla a false denunce strumentali, mentre ciò che può mostrare una telecamera è incontrovertibile. L’identificativo è una vera e propria azione di schedatura che presta facilmente l’agente a strumentalizzazioni, gogna, nonché pericolo per la sua incolumità, come avvenuto di recente con la pubblicazione di foto e dati personali sul sito posto nel deep web ‘Caccia allo sbirro’. Andrebbero schedati i delinquenti, non i poliziotti. Se Amnesty chiede alla Polizia di metterci la faccia – conclude Paoloni – noi non ci pensiamo due volte. Ci mettiamo faccia e voce. Con le telecamere che riprendono sia noi, sia chi non rispetta le elementari regole di civile e pacifica convivenza”.
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