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Cronache
La farsa. Tratta di schiavi nel salernitano. Arrestato capogruppo del Pd
Perché la politica non serve a niente? O meglio, serve solo a chi la fa (per il proprio potere personale)? Basta leggere l’inchiesta sul traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù nella Piana del Sele, aperta dalla Dda di Salerno, con al centro il capogruppo del Pd di Eboli, Pasquale Infante, e vedere le reazioni.

A pochi chilometri, in Basilicata, si vota per le regionali ma i politici parlano di altro.

 

Il 18 marzo un intervento dei carabinieri nei Comuni di Battipaglia, Eboli, Montecorvino Pugliano, Olevano su Tusciano, San Marzano sul Sarno, Pontecagnano Faiano, Nocera Inferiore, Altavilla Silentina (Borgo Carillia) e Angri, fino a toccare la provincia di Matera e Potenza, ha tratto in arresto 27 persone (finite ai domiciliari) ed ha sottoposto 35 soggetti in tutto ad indagini poiché ritenuti responsabili a vario titolo di “associazione a delinquere”, “favoreggiamento e sfruttamento dell'immigrazione clandestina”, “intermediazione illecita e sfruttamento di lavoratori senza permesso di soggiorno”, “riduzioni schiavitù” e “tratta di persone”.

A mettere “a posto le carte” degli immigrati clandestini interveniva appunto il capogruppo del Pd di Eboli, il commercialista Pasquale Infante, finito agli arresti domiciliari. Lo stesso Infante che nel gennaio 2018 si era detto pronto a mobilitare il partito contro l’arrivo di nuovi profughi nella provincia.

 

Vista la gravità dei fatti, per il capogruppo è stata disposta dalla Prefettura la sospensione della carica (è scattata infatti l’applicazione del comma 2 dell’articolo 11 della legge Severino che congela la carica di chi è sottoposto a misure cautelari).

Ma è la storia di sempre in questi territori. Anche se in questo caso c’è il salto di qualità di una criminalità marocchina che sovrasta quella locale, procura permessi di soggiorno a braccianti agricoli arrivati dal continente africano alla Piana del Sele e con una capacità non irrilevante di pervadere il territorio. Il caso diventa significativo perché evidenzia l’esistenza di una rete di migrazione che arriva in Italia in modo apparentemente regolare e con un biglietto aereo pagato dall'organizzazione ma è tutto falso, all'origine. 

 

Il centro nevralgico del sistema nella contrada agricola di Cioffi di Eboli con un’altra figura, centrale nell’inchiesta, il marocchino Hassan Amezghal, detto “Hassan appost”. Amezghal si vantava di guadagnare tanti soldi in zona: “… io in una giornata guadagno 300 euro”. In zona i braccianti guadagnano pochi euro in un giorno. Sarebbe di 6 milioni il volume dei profitti stimato dagli inquirenti.

Sfruttati e ridotti in schiavitù due braccianti hanno trovato la forza di denunciare gli aguzzini ed è soprattutto grazie al loro coraggio e a quello degli inquirenti che il sistema è emerso, ancora una volta.

“I vari imprenditori agricoli locali aderivano all'organizzazione per mero profitto, garantendosi generalmente manodopera sottopagata per il lavoro nei campi. In altri casi, invece, si limitavano a ricevere un compenso da 500 a 1000 per ogni contratto di lavoro fittizio a loro richiesto”, scrivono gli inquirenti.

 

E i migranti avevano anche pagato profumatamente per venire in Italia non sapendo che sarebbero stati schiavizzati.

“Le indagini hanno dimostrato la falsità, in origine, delle domande per la concessione di tali permessi di soggiorno per i quali ogni migrante era disposto a versare all'organizzazione somme variabili tra i 5.000 ed i 12.000 euro”. Il pagamento delle somme pattuite avvenivano in Marocco e dove gli stessi migranti “contattavano il capo dell'organizzazione facendo esplicita richiesta di un contratto di lavoro falso (chiamato in gergo “servizio” - in arabo, ndr) che garantisse loro l’ottenimento di un regolare visto d’ingresso in Italia, per poter poi raggiungere altri paesi europei”.

 

A Infante vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina oltre all’elusione delle norme in materia di braccianti agricoli e caporalato. Tra gli indagati anche la sorella, Maria Infante, che lavora nello stesso studio di consulenza. 

Il gip non ha accolto la richiesta del pm di restrizione in carcere modificandola in arresti domiciliari ritenendo che non ci fosse il pericolo di inquinamento probatorio. Ovviamente, Infante si difenderà dalle accuse attraverso il suo legale. Siamo ancora in una fase preliminare del caso. L’inchiesta è partita nell’agosto 2015 e le indagini, condotte sia con metodi tradizionali che con intercettazioni, hanno consentito di scoprire le dinamiche di un fenomeno ben più complesso.

 

Ma sono i problemi di sempre, di chi vive al sud o nella Piana del Sele, italiani e stranieri.

Se la politica servisse a qualcosa dovrebbe occuparsi di questi problemi e intervenire o almeno manifestare un dissenso e cercare di costruire un’alternativa. Ma oltre alle classiche polemiche del giorno dopo, in questo caso anche timide, non si sono registrate a riguardo manifestazioni di sorta.

 

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