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Cronache
Le app girano i dati personali a Fb. Attenti se è gratis.Tutto senza consenso
Privacy International, l'ente londinese che si batte per una maggiore privacy degli utenti, ha scoperto che molte applicazioni per cellulari, che usano il sistema operativo Android, inviano i dati personali a Facebook senza il permesso degli utenti. Non un fatto da poco. 

 

Privacy International ha pubblicato a dicembre uno studio, su 34 delle più popolari applicazioni che girano su Android, spiegando che più di una ventina di queste app (il 61%) fanno arrivare i dati degli utenti a Facebook anche quando questi non hanno dato il permesso di farlo, anche quando non si è collegati a Facebook e addirittura quando l'utente non ha un account Facebook. Le applicazioni mobili sono tenute a ricevere il consenso esplicito degli utenti prima di poter procedere in questa direzione e anche a trasmettere a terze parti, nell'eventualità di un ulteriore assenso.

 

Nella nostra società tecnologica la sicurezza e la libertà coincideranno sempre di più con la maggiore privacy personale. Per questo Privacy International, un'organizzazione di beneficenza su campo dal 1990, si batte contro la sorveglianza degli Stati e delle aziende private sui nostri dati personali. Privacy International sta cercando di costruire un movimento globale in difesa del diritto alla privacy degli utenti.

 

Tra le app popolari che hanno trasmesso dati a Facebook, Privacy Internation ha trovato anche TripAdvisor (turismo), MyFitnessPal (fitness), Skyscanner (viaggi), Kayak (viaggi), Duolingo (settore educational). Un'attività non chiara che potrebbe aver violato le normative UE. 

 

I dati trasmessi, secondo l'ente londinese, sono particolarmente dettagliati, includendo il nome dell'app, l'Id univoco dell'utente con Google e il numero di volte in cui l'app viene aperta e chiusa da quando è stata scaricata. Alcune applicazioni hanno anche inviato informazioni sul tipo di attività svolte e sulla composizione familiare dell'utente. 

Molte delle app che fanno parte dello studio sono gratuite. Questo ha fatto immaginare che il guadagno, oltre che dalle pubblicità, arrivi dalla condivisione con terzi dei dati personali. I ricercatori hanno esaminato le app con i tracker Facebook incorporati, intercettando i dati mentre venivano inviati. 

 

Dopo lo scandalo Cambridge Analytica Facebook è finita nell'occhio del ciclone per l'eccessiva mancanza di trasparenza. E' noto come il problema sia più che un rischio per le nostre democrazie. E senza un serio processo di trasparenza del social network sarà impossibile sapere, con certezza, come questi dati ed altri verranno utilizzati. 

 

La natura della ricerca di Privacy International ha sollevano anche quesiti gravi. Poiché la ricerca è stata condotta nel Regno Unito e i ricercatori si sono concentrati solo sul quadro normativo della Gran Bretagna e non su quello della UE, il comportamento potrebbe già aver violato le regole UE in materia di privacy e di protezione dei dati personali (il GDPR)

 

Privacy International spiega anche che il riscontro non è un fatto estemporaneo. Ricerche precedenti hanno dimostrato come il 42,55% delle app gratuite scaricabili da Google Play Store condividano dati con Facebook, rendendo quest'ultimo il secondo tracker di terze parti più diffuso al mondo dopo Google.

 

Ci sono in circolazione milioni di app ma nell'ottobre 2018 i ricercatori dell'Università di Oxford pubblicarono uno studio su 959.000 app scaricabili da Google Play Store e usate negli Stati Uniti e nel Regno Unito. La stragrande maggioranza di queste “raccoglievano” i dati provenienti dagli smartphone con "tracker di terze parti", ovvero entità che raccolgono dati sugli utenti dai siti Web proprietari.

 

Secondo uno altro studio, del 2017, dell’organizzazione francese Exodus Privacy e dell'americana Privacy Lab dell’Università di Yale, oltre tre applicazioni Android su quattro conterrebbero almeno un tracker di terze parti. La ricerca ha preso in esame diverse centinaia di applicazioni presenti sul Google Play Store ma gli esperti sostengono che con ogni probabilità la situazione è identica anche nell’App Store di iOS (Apple).

 

 

 

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