Prende il via il Master in Intelligence dell'Università della Calabria. Il direttore Mario Caligiuri spiega in un'intervista ad Affaritaliani.it funzionamento e obiettivi. E dà uno sguardo ai temi legati a Servizi Segreti e terrorismo.
Direttore Caligiuri, come è nata l'idea del master?
Nel 2007 insieme al Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga pensammo che era utile costruire un cultura dell'intelligence all'interno del nostro Paese. Infatti ritenemmo che, partendo proprio dalle università pubbliche, fosse fondamentale contribuire a fornire prima di tutto gli strumenti intellettuali per tutelare il benessere e la sicurezza dei cittadini. Con la caduta del muro di Berlino si era dissolto il vecchio ordine mondiale e la globalizzazione comportava opportunità straordinarie ma anche rischi tremendi. Come la globalizzazione del crimine del terrorismo. Tanto più che, in misura più marcata che altrove, da noi c'era, e in gran parte c'è ancora, una forte pregiudiziale ideologica, che considera l'intelligence un luogo dell'oscurità. Il nostro master è stato il primo del genere ad essere arrivato in una università pubblica del nostro Paese. Un primato culturale e scientifico che ci è stato da tutti riconosciuto.
Come funziona e a chi è destinato?
È un master riservato a chi ha conseguito la laurea magistrale, cioè di cinque anni. Si articola in 19 giornate d'aula, che si terranno consecutivamente di sabato all'Università della Calabria a cominciare da fine febbraio. Le lezioni proseguiranno fino al mese di giugno, comprese le ore del laboratorio che incentreremo sul rapporto tra intelligence e 'ndrangheta e intelligence e terrorismo islamico. La scadenza dei termini per la presentazione delle domande è il primo febbraio ed avviene attraverso il sito www.unical.it. Sono previsti poi stages presso strutture appositamente selezionate. A fine anno la discussione della tesi. Quindi entro il 2016 il percorso formativo si concluderà.
“Oggi tutti in Italia invocano l’intelligence per contrastare il fondamentalismo islamico e la criminalità organizzata. Si dimentica, però, che per tanti anni si è fatto di tutto per indebolire questo strumento fondamentale per la sicurezza e il benessere dei cittadini. La prima cosa è costruire una cultura dell’intelligence in modo da farne comprendere la decisiva importanza per la democrazia. E per questo occorre partire necessariamente dalla formazione”. Con queste parole Mario Caligiuri, Direttore del Master in intelligence dell’Università della Calabria, comunica l’apertura delle iscrizioni per l’anno accademico 2015/16. Nel 2007 sotto lo stimolo del Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, proprio nell’ateneo calabrese venne avviato il primo master del settore di una università pubblica italiana. La prima edizione venne conclusa dall’allora direttore del Sisde Franco Gabrielli. Nelle quattro edizioni che si sono poi svolte sono stati formati 102 laureati provenienti dall’Italia e dall’estero. Il Master è di secondo livello, cioè aperto a coloro che possiedono una laurea magistrale e le domande di ammissione avvengono esclusivamente sul sito www.unical.it/portale/concorsi/view_bando.cfm?Q_BAN_ID=4581&Q_COMM= Le domande scadono il primo febbraio 2016. Le lezioni inizieranno sabato 27 febbraio 2016 mentre gli esami finali si svolgeranno con la discussione di una tesi. Il Master, che prevede complessivamente 1.500 ore, si articola in 19 giornate d’aula di 8 ore ciascuna che si svolgeranno di sabato presso l’Università della Calabria a Rende. Inoltre ci saranno attività di laboratorio dedicate ai temi "Intelligence e 'ndrangheta" e "Intelligence e immigrazione islamica" con qualificati docenti a livello nazionale e internazionale. Sono poi previste 300 ore di stage presso strutture specializzate appositamente selezionate. E’ prevista l’assegnazione di 60 crediti. Il Master verrà inaugurato con una Giornata di Studi dedicata all’attualità dell'intelligence. Come in ogni edizione, i docenti saranno professori universitari ed esperti italiani del settore. Nelle precedenti edizioni hanno tenuto lezioni, tra l’altro, i professori Giorgio Galli, Paolo Savona, Mario Morcellini, Antonio Baldassarre, Umberto Gori, Francesco Sidoti, Carlo Pelanda, Gerardo Iovane, Giuseppe Spadafora; i prefetti Vittorio Stelo, Carlo Mosca, Marco Valentini; i generali Fabio Mini e Carlo Jean; i giornalisti Lucio Caracciolo, Pino Buongiorno, Antonio Nicaso; i giudici Rosario Priore, Giuseppe Pignatone, Nicola Gratteri; l'ambasciatore Domenico Vecchioni; i funzionari dello Stato Alfredo Mantici, Massimo Bontempi, Adriana Piancastelli, Alberto Accardi, Alessandro Ferrara. |
Quali figure professionali andrà a formare?
Partiamo da una premessa: l'intelligence è un metodo di trattazione delle informazioni di cui c'è grande necessità a livello individuale, aziendale e istituzionale. Essendo sommersi da informazioni sempre maggiori e inevitabilmente spesso fuorvianti, abbiamo necessità di individuare quelle rilevanti. Ecco, l'intelligence è la chiave, collegata con la conoscenza della realtà che effettivamente ci circonda. Andremo quindi a formare esperti di intelligence, con particolare riferimento alla trattazione delle informazioni, l'uso delle nuove tecnologie e delle intercettazioni, l'analisi dei dati, l'informazione come arma preventiva nel contrasto alla criminalità e al terrorismo islamico. Oltre alle nozioni fondamentali a livello giuridico, storico e teorico per sviluppare una moderna cultura dell'intelligence nel nostro Paese.
Qual è la situazione attuale dell'intelligence italiana?
Rispetto al passato, molti passi avanti sono stati compiuti. È oggi diventato un tema di grande attualità, sistematicamente invocato per prevenire il terrorismo e, erroneamente in misura minore, la criminalità. Dimenticando, però, che per tanti anni si è fatto di tutto per indebolire questo strumento fondamentale per la sicurezza e il benessere dei cittadini. Appunto per questo, la prima cosa è costruire una cultura dell’intelligence in modo da farne comprendere la decisiva importanza per la democrazia. E per questo occorre partire necessariamente dalla formazione e quindi dalle scuole e dall'università. Non a caso, nei mesi scorsi per la prima volta sono stati assunti nei Servizi trenta neo-laureati, provenienti per lo più da facoltà scientifiche e da università del centro-nord.
Il governo fornisce tutti gli strumenti necessari alla nostra intelligence?
Nella recente legge sulla stabilità sono stati aumentati i fondi per l'intelligence. Un buon segnale, anche se il tema fondamentale paradossalmente non sono solo le risorse economiche ma tutto il resto: regole chiare e applicabili per rendere operativo e utile questo strumento, selezione degli operatori in base ad alte capacità e visione chiara di quelli che sono i reali interessi nazionali.
La nostra intelligence è in grado di azzerare i rischi del terrorismo islamico?
Assolutamente no. E non solo la nostra. Al momento li può contenere. E in questo settore, da parte di tutto l'Occidente, si sta orientando una notevole attenzione.
Qual è il legame, se c'è, tra terrorismo e criminalità organizzata?
Certo che c'è ed è maggiore di quel che si pensi. Alla fine degli anni Novanta, uno dei direttori dell'intelligence tedesca Eckart Wertherback aveva previsto che il XXI secolo sarebbe stato distinto da una lotta senza quartiere tra Stati legali e poteri criminali. È quello che abbiamo sotto gli occhi. Sia il terrorismo che la criminalità operano con le stesse logiche: hanno una dimensione globale mentre il contrasto avviene per lo più a livello nazionale, assenza di regole legali che sono invece il fondamento degli Stati moderni che devono trovare il difficile punto di equilibrio tra libertà e sicurezza, individuazione di elite in base all'efficienza delle organizzazioni a fronte di elite democratiche scelte su base mediatica e del marketing alimentato da ingenti finanziamenti elettorali provenienti dal settore economico privato. In queste condizioni il contrasto è davvero arduo.
Tra i paesi occidentali qual è oggi l'intelligence che funziona meglio? E quelle con più problemi.
Ritengo quella israeliana, poiché opera da decenni, ogni giorno, in condizioni di guerra dichiarata. Tutte le altre, chi più chi meno, CIA compresa, dimostrano affanni evidenti. E questo sia per gli argomenti esposti nella risposta precedente e sia perché oggi le agenzie di intelligence sono inevitabilmente destinate spesso al fallimento perché, appunto dopo averle indebolite, si richiede quasi solo da esse, in modo taumaturgico, una risposta alla crisi di sicurezza dello Stato democratico, peraltro non evidenziando le forme di contrasto e di prevenzione che devono compiere anche le forze dell'ordine e le forze armate, dove a volte esistono anche robusti servizi di intelligence.