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Cronache
Natale stonato, Natale insanguinato: cosa festeggiare se a Betlemme si piange?

La guerra a Gaza e il Natale "stonato". Il commento  

A Betlemme non c'era posto per Maria e Giuseppe, migranti ante litteram, così come oggi non c'è posto per i milioni di esseri umani sparsi nel mondo che in questo momento sopravvivono fra mille stenti e difficoltà. Non hanno nulla, né cibo, né acqua, né un tetto sotto il quale ripararsi. Molti di loro non hanno nemmeno più un angolo di terra dove trovare scampo. E così i morti, senza lapidi sulle quali venir ricordati o pianti. Le loro tombe sono spettrali montagne di macerie.

Montagne di macerie come quelle di Al-Maghazi, un “campo profughi” – che vorrei sapere perché ci ostiniamo a definirli così visto che sono veri e proprio insediamenti urbani, con tanto di palazzine e condomini, strade, negozi e non certo tendopoli come la parola lascerebbe intendere – situato in un’area centrale della Striscia senza alcuna importanza strategica o militare. Un insediamento densamente popolato nel quale erano concentrati un numero elevatissimo di sfollati, già evacuati dal Nord della Striscia, la maggior parte dei quali donne e bambini. Un’area colpita scientemente dall'esercito israeliano nella notte fra il 24 e 25 dicembre.

LEGGI ANCHE: Guerra, colpita anche Betlemme a Natale. Attacchi israeliani in Cisgiordania

È stata una strage: più di 100 morti in un secondo, la più cruenta dall'inizio della guerra. Prima d'ora nessun raid israeliano aveva ucciso in colpo solo così tanti civili inermi, quasi tutti, è bene ricordarlo una volta di più, donne e bambini. Sarà aperta un’inchiesta da parte delle autorità militari israeliane. Ma intanto la carneficina si è consumata e il genocidio continua. Un orrore perpetrato nel silenzio ipocrita e scellerato della comunità internazionale.Non c'è più un solo luogo sicuro nella Striscia di Gaza. I miliziani lanciano razzi da postazioni collocate in zone civili zeppe di innocenti.L'esercito israeliano non si fa scrupoli a bombardarli.

Un circolo mortifero e perverso che nessuno sembra avere intenzione di fermare.Di questa guerra che in poco meno di tre mesi ha ucciso più di 20.400 civili, fra i quali la metà sono bambini, si parla pochissimo e quando se ne parla lo si fa spesso senza contezza. A peggiorare le cose, ai bombardamenti ora si aggiunge un altro flagello: quello della fame che secondo l’ONU rischia di mettere a repentaglio la vita di mezzo milione di palestinesi.

Della guerra in Ucraina, dove i civili uccisi dall’inizio del conflitto sono 10.000, invece se ne è parlato e se ne parla con l’assiduità con la quale i bollettini di morte ci aggiornavano sul numero di “caduti” nella “guerra del Covid”. Una narrazione paranoica che ha saturato l'informazione e assomiglia a un massaggio del cervello collettivo del quale non si vede per altro la fine.

Non più tardi di ieri, per esempio, al pranzo coi poveri promosso e organizzato da un colosso del Terzo Settore, nel discorso che ha preceduto la messa di Natale, sono state ricordate tutte le popolazioni travolte dalla guerra, in testa alle quali c’era, nemmeno a dirlo, quella ucraina. Sono state ricordate tutte, tranne quella di Gaza. Nemmeno il vescovo celebrante l’ha menzionata, quando anche lui le ha ricapitolate tutte dopo l'Omelia. L'ho fatto io, alla Preghiera dei Fedeli.

Un granello di sabbia nel deserto. Ma non basta. Dulcis in fundo, si fa per dire, all'offertorio è stato annunciato che tutto il denaro raccolto, come l'anno precedente, sarebbe stato devoluto alla popolazione ucraina. Con fatica ho represso l'ondata di sdegno e di rivolta che mi ha assalita. Ho resistito fino alla fine per onorare l'impegno preso nei confronti degli oltre 160 ospiti che attendevano di essere accolti.Eppure da ieri ben più di una domanda rimbalza fra le mie sinapsi.È cristiano cattolico apostolico decidere chi ha diritto di aiuto e chi no sulla base di criteri quanto meno arbitrari, fra i quali, forse, un ruolo non trascurabile lo giocano la provenienza dei poveri, la loro religione o il loro appeal mediatico?È cristiano cattolico apostolico girare il capo dall'altra parte di fronte all'orrore che si sta consumando proprio nella Terra dove Gesù è venuto al mondo, per giunta nei giorni in cui mezzo mondo festeggia con un’orgia di consumismo la ricorrenza della sua venuta?

E infine: è cristiano cattolico apostolico raccogliere denaro in nome di un solo beneficiario quando nel mondo le Nazioni e le popolazioni sconvolte dalla guerra sono centinaia? Come ha ben detto il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, nell'Omelia della Vigilia pronunciata a Betlemme, "Non che il mondo sia sempre stato ospitale con Cristo: non è di oggi la constatazione che della fede cristiana, e del Natale cristiano in particolare, ci siano ormai poche tracce nella nostra cultura secolarizzata e consumista. Quest’anno però, soprattutto qui, ma anche nel resto del mondo, il fragore delle armi, il pianto dei bambini, le sofferenze dei profughi, il lamento dei poveri, le lacrime di tanti lutti in tante famiglie sembrano rendere stonati i nostri canti, difficile la nostra gioia, vuote e retoriche le nostre parole".

Stonato. Ecco come trovo qualunque festeggiamento di Natale. Stonato e storto. Non so voi ma io quest'anno faccio davvero fatica a festeggiarlo. Perché con o senza Fede, qualunque sia quello in cui crediamo, Natale vuol dire fare stanze, non occuparle, costruire ponti, non distruggere case, fare spazio agli altri, non negargliene uno. "Se non troviamo Dio in noi, nella nostra vita perderemo inevitabilmente la via che ci porta al Natale e così ci ritroveremo soli, nella notte, senza una destinazione".

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