Cronache

Saviano su immigrazione a Di Martedì, Floris. Retorica, fake news ed errori

Antonio Amorosi

Roberto Saviano, monologo sull'immigrazione a Di Martedì da Giovanni Floris, dopo il caso Aquarius. Fiera di emotività condita da fake news, errori e retorica

“Saviano possiede un incredibile dono per l’esagerazione”, cioè a gonfiare fatti, scriveva nel 2015 Michael Moynihan sull'autorevole giornale The Daily Beast, recensendo l'uscita americana di ZeroZeroZero, oltre ad accusarlo di copiare il lavoro di altri senza mai citarli o da wikipedia, far passare per sue le interviste di colleghi giornalisti o inventare personaggi descritti come reali. 

Ieri sera a Di Martedì di Giovanni Floris Roberto Saviano si è scatenato in un monologo di un quarto d'ora sull'immigrazione. Ormai l'autore napoletano è da anni una sorta di santone ieratico, professionista nell'assumere pose di autocompiacimento per le sue trovate e di disprezzo per il nemico di turno, trattato alla stregua di un criminale da strada. Lo ha fatto in passato con esponenti del Pd, lo fa oggi con Lega e M5S. Un caso, un meccanismo o un comportamento che finiscono sotto la sua lente possono diventare, gonfiati da un'emotività strabordante e aggiustati da una lettura parziale, un archetipo del genere umano o un modello da rigonfiare, ristudiare, risezionare per altri infiniti racconti. Meglio se fatti in uno show televisivo o in un monologo.

Sarà perché non deve essere “disturbato”, vista la predilezione a “gonfiare” e aggiustare? 

Tranquilli, nei principali talk italiani non corre il pericolo di domande non preparate. 

Non sto qui a spiegare che quando Saviano parla di casalesi e di camorra ha capacità fuori dal comune, ma da tuttologo è il miglior distruttore delle sue stesse parole (e l'effetto che hanno procurato sia l'approfondimento di un giornale autorevole come The Daily Beast che la sentenza della Cassazione sul plagio di pezzi di Gomorra non sono stati da poco)

Del fenomeno immigrazione dice che prima di tutto l'Europa è buona e addirittura ci “scorpora dal bilancio” dello Stato i 5 miliardi destinati al salvataggio dei rifugiati. Vero, ma non si comprende perché la flessibilità non sia concessa per problemi strutturali. Perché salviamo vite umane, rifugiati dalle dittature o dalle guerre del continente africano!? No. I dati ufficiali ci dicono che, al di là del “viaggio emotivo” di Saviano, su 100.000 sbarcati ottengono lo status di rifugiato circa in 6000, come spiegato più approfonditamente anche qui. Quindi il grosso delle risorse serve ad alloggiare immigrati economici ed a foraggiare cooperative e aziende che ci lucrano per anni.

Il fenomeno migratorio è più complesso dell'onda emotiva di Saviano e dei salotti bene della sinistra italiana.

Come spiega il giornalista Roy Beck “ogni anno gli Usa accolgono 1 milione di immigrati, ma i poveri nel mondo sono almeno 3 miliardi. Anche triplicando il numero non cambierebbe niente, anzi togliamo a quei Paesi le persone migliori che potrebbero cambiare le cose”.

In un'Italia sempre più precarizzata, senza il sistema industriale di 20 anni fa e con zone del Sud desertificate dalla possibilità di una paga umana, gli immigrati che arrivano saranno sempre più costretti a vendersi per una ciotola di riso, facendo da manovalanza alla criminalità organizzata o da esercito di riserva contro chi ha un lavoro precario a vita. Ma andiamo avanti.

Saviano racconta di come gli immigrati riempiano “zone svuotate da italiani, arrivando a popolare paesi fantasma”. Si riferisce agli immigrati che ripopolano il Sud, in verità accettando condizioni di vita da schiavi. Perché è questa l'economia che l'Italia ha riservato al Sud da decenni, non avendo voluto estirpare mali atavici: la criminalità organizzata, il clientelismo, l'assistenzialismo e una classe dirigente da terzo mondo. Oppure agli immigrati è lasciato far parte dell'”assistenza Mulino Bianco” messa in piedi in alcuni paesini, dove con soldi pubblici vengono assistiti da cooperative di italiani, così l'economia gira e il paesino rivive con le attività che rifioriscono. La fiera dell'assistenzialismo 2.0.

Se proprio bisognava praticare l'assistenzialismo non era meglio nei confronti di milioni di persone che abbiamo costretto a lasciare il Sud per anni? O che anche al Sud vi fosse un po' di libero mercato, facendo rispettare la legge che c'è altrove? O facendo investimenti mirati e non in stile Cassa del mezzogiorno? No, non si poteva. E oggi ancor meno perché l'Europa non ci consente la flessibilità.

Ma la più bella arriva quando Saviano dice che “gli immigrati difendono i diritti che gli italiani non vogliono più difendere”. Il riferimento è a figure come Jerry Masslo a Villa Literno nel 1989, barbaramente ucciso o al camerunense Ivan Sagnet nel 2011 tra i braccianti immigrati di Nardò in Puglia. Saviano: “Sagnet... guidò il primo sciopero di braccianti agricoli stranieri contro il caporalato... il lavoro giorno per giorno, la carne umana comprata... (con enfasi, ndr) Lo scioperò portò all'istituzione del reato che non esisteva: il caporalato come reato nel nostro Paese non esisteva...”.

Il reato esiste dal dopoguerra, solo che si chiamava intermediazione fraudolenta di manodopera. L'intermediazione di manodopera poteva farla solo lo Stato (nell’art. 27 della legge n. 264/1949 e artt. 1 e 2 della legge n. 1369/1960) con gli uffici di collocamento, altrimenti scattava il reato. Così come ci sono state le lotte contro il caporalato di tanti meridionali che hanno portato i braccianti negli anni '70 anche all'occupazione delle terre. Ma per l'efficacia delle sanzioni occorrevano misure repressive reali per debellare un fenomeno di massa e per una possibile soluzione porsi il problema della gestione di un settore comunque esistente.

Il pacchetto Treu e la legge Biagi del 2003 hanno reso legale l'intermediazione privata, facendola emergere, ma imponendo obbligatoriamente la gestione solo alle agenzia interinali. Nel 2011 l'azione repressiva si amplia, nel 2015 con il governo Renzi il reato viene invece abrogato e nel 2017 si fa marcia indietro con la reitroduzione. Ma il problema non è in sé la legge: è la sua applicazione e la volontà concreta, che non c'è, di perseguire i reati.

Infatti anche se la parte viva della nostra agricoltura, soprattutto a Sud, è pervasa dal dramma del caporalato, non si è ancora sentito parlare di retate di massa. Eppure il caporalato è dilagante, nonostante la retorica, le “palle televisive”, i luoghi comuni, gli show per intrattenere il popolino bue, al di là della prosopopea strappalacrime di Saviano. Il caporalato esiste, come Dio.

Dio non c'è, eppure esiste.