Culture

Giuseppe Limone: “Città sotto la luna” e “Le ceneri di Pasolini”

Tra versi e prosa

di Alessandra Peluso

 

“Tra le ceneri di Pasolini” e la “Città sotto la luna” si incontra l’uomo, il desiderio di disincanto, la voglia di vivere, la giostra di un’esistenza. Si palesa così, il filosofo e poeta Giuseppe Limone, sotto le ceneri di Pasolini, ancora calde, le parole bruciano e tra le piaghe dei pensieri emerge il ricordo, la memoria di chi ha operato per salvaguardare l’essere umano. In un testo in cui versi e prosa si annodano, come per snodarsi forse a conclusione, quando da un pensiero, una filosofia, si dichiara l’amore per la poesia.

La scrittura di Limone esala fumi che pizzicano la gola: si tossisce, si deglutisce sino ad attendere la luna, una speranza. “Siano le vite in viaggio / non macchie separate, / ma lingue di un’unica fiamma / diffusa tra noi. / Passerà / tutta l’era dei nostri rapporti / all’universo del fuoco / nuovo, / scoppiato da fissione a fusione” (p. 33). Queste lingue di fuoco sembrano appartenere a grandi come Pasolini, definito “intellettuale senza partito, dotto senza dottrina”, e a coloro che si identificano in ciò che Heidegger abbraccia come “pensiero e poesia”. Cosa significa allora pensare e poesia pare un quesito che anche Giuseppe Limone si pone: richiedono prove di coraggio, che le parole siano verità disvelate proprio come accade leggendo la silloge “Città sotto la luna. La verità emozionale e la verità civile” (palawàn Editore). Emozioni, appunto, quelle vissute in varie città dal poeta, il quale ha scelto di tradurle in parole per comunicare bellezza, distopia, contraddizioni dettate dalle stagioni dell’umano in geografie del pensiero.

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Così dunque, in “Città sotto la luna”, Olimpia Ammendola nella Prefazione scrive: «È la poesia che sceglie la persona perché tra la persona e la poesia vi è un’affinità elettiva, un medesimo humus di carne e sangue, lo stesso battito cardiaco, anzi la stessa aritmia»; mentre, Virgilio Melchiorre in “Le ceneri di Pasolini” (puntoacapo Editrice), pensa alla speranza utopica che i pensieri si possano conciliare ai sensi; d’altro canto, primeggia dalla parte dei possibili, come “possano rinascere le vite, sul filo della sera”. È un pullulare di parole, di versi liberi, che si vanno via via modellandosi in poemi. Riecheggiando in versi e in prosa le città risplendono e il lettore le immagina, le vive coinvolgendo l’anima, e nella comprensione del tutto, infatti, che questa trova ristoro così quanto Limone. E allora, si legge: «Caduta come vento è la parola / son comparse le stelle / grilli muti / a un farsi di silenzio» (p. 31); nel gioco ritmico dei versi il pullulare di presenze autunnali e nel sentirsi vivo, Giuseppe Limone dona vita. Fotografa in “Città sotto la luna” quello che è il simbolo della cultura moderna, definito da Simmel “metropoli”, luogo di contraddizioni e conflitti, ma anche di memoria, di scambi di parole appunto, di desideri, di ricordi, a volte tra ‘città invisibili’ (Calvino).

Se poi, per Pontiggia ‘il libro vive solo in quanto ci modifica’, nelle raccolte di Limone la vita è presente e la morte con essa, momento di ri-flessione. Ora, non è dato sapere quando, ma certamente tra le considerazioni di un pensiero, la nascita di una poesia, si genererà un’idea nuova, uno spirito rinnovato nella sua soggettività, poiché è proprio nell’incontro tra l’io e l’altro, si manifesta la vita: e di vita certamente Giuseppe Limone sa declinarne giochi di colori, di sfumature, di neri e di bianchi. Una vita di - poesia e filosofia - come altri hanno già vissuto, un connubio che Maria Zambrano dichiara essenziale, cercando di dare ciò che il pensiero ha sempre temuto: l’altro da sé. È nell’altro e con l’altro si ritrova quotidianamente l’uomo, il poeta, il filosofo Giuseppe Limone, genio creativo.