Culture

"L'Europa deve molto all'Islam". Ecco l'errore di Papa Bergoglio

Solo un ingenuo oppure una persona profondamente in malafede potrà azzardarsi ad affermare -come ha fatto don Bergoglio, che in un improvvido raffronto ha comparato il Vangelo, libro d’amore per eccellenza, al Corano, nel momento in cui gli è stato conferito il Premio “Carlo Magno”- che l’Europa debba molto all’Islam. Esternare questo concetto, soprattutto da parte di un pontefice romano, significa semplicemente voler negare, in maniera proterva, la Chiesa stessa e la sua storia; una storia intrinsecamente veneranda i cui protagonisti, lungo il corso della sua bimillenaria esistenza, sebbene appesantiti dagli umani difetti di ciascun individuo, innumeri volte hanno cambiato non soltanto le vicende dell’Europa e dell’Occidente, ma anche gli accadimenti delle plaghe orientali dell’orbe terracqueo senza avvertire necessità alcuna di ricorrere a succedanei di natura diversa e di filosofie esistenziali diametralmente agli opposti sul piano antropologico e scientifico.
 
Coloro i quali, in alcuni periodi della storia d’Europa, nel calpestare il suolo delle sue civilissime regioni, hanno devastato culture, fedi e civiltà che si sono sviluppate su di un ceppo tetragono e caparbio, che sotto il nome di tradizione ellenica e latino-cristiana, in seguito, nel secolo decimoquarto, ha fornito slancio vitale all’età dell’umanesimo e del rinascimento. In cui, alla concezione “piramidale” di taglio medievale, che mostrava come le umane creature anelassero al cielo in un empito d’amore, che ancora oggi esprime tutto intero il proprio icastico desiderio nell’architettura delle cattedrali gotiche che, plasticamente, hanno fornito l’humus esistenziale all’uomo ed alla sua più autentica interiorità, si può coniugare la concezione “radiale”, di incontroversa matrice filosofica classica, che si dispiega nela centralità dell’uomo stesso rispetto alle altre creature perché essere pensante, di multiforme intelletto, in quanto persona, veniva esaltata, privilegiata nelle splendide corti rinascimentali dove essa si dispiegava nelle sue diverse articolazioni; mentre nel novecento, detto impropriamente “secolo breve”, è stato fornito alimento al personalismo cristiano che privilegia i valori spirituali della persona in contrapposizione all’individualismo e allo statalismo.
 
La Chiesa -e l’Europa che con essa si identifica- non hanno avuto mai bisogno di elementi eterogenei, allotri, ai quali riconoscere debiti ed a cui rendere grazioso omaggio di tutto quello che rappresenta nell’ambito del mondo attuale.
 Basterebbe, a questo scopo, focalizzare la carismatica figura del celeste patrono del Vecchio Continente: Benedetto da Norcia (480 – 543). Il Patriarca che fornì regole e filosofia di vita al monachesimo occidentale raggrumate in una terna di brevissimi lessemi latini -ora et labora- che, lunghi secoli dopo, troverà un riscontro fecondo ed altrettanto pervasivo nella triade laica del pensatore genovese Giuseppe Mazzini, uno dei più operosi padri ispiratori del movimento risorgimentale italiano: pensiero e azione.
 A questo illuminato “archimandrita” della Chiesa Cristiana occidentale ed alle sue riforme liturgiche risulta ineludibile affiancare il profilo umano e religioso di splendido pastore di anime e di accorto e prudente diplomatico, dall’eccezionale fascino intellettuale, che costantemente gli forniva una innata dimensione di paterno prestigio e di sorvegliata autorevolezza cultuale, per testimoniare, senza dubbio alcuno, quanto le genti d’Europa traessero dalle proprie endogene germinazioni tutto quello che serviva per vivificare, con quotidiana scansione, la realtà socio-storica dell’esistenza e la propria inconcussa identità.
 
I rapporti tra la civiltà d’Europa e l’Islam  si sono continuamente rivelati conflittuali e, di volta in volta, hanno segnato esiti inaccettabili sia sul piano dell’intelligenza che su quello delle relazioni reciproche fino a sfociare nella Battaglia di Poitiers, nel 731, al termine della quale Carlo Martello, figlio naturale di Pipino di Hèristal e nonno paterno di Carlo Magno, sbaragliò i Saraceni segnando così l’arresto della soggiogante avanzata araba nel cuore dell’Europa.
 Un rapporto conflittuale, si è detto! Ed è vero, se una sua molto eclatante eco si è avvertita anche negli scritti del Gattopardo, di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nei quali si leggono queste parole: “… noi Siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva … agli emiri berberi…”.
 
Spia di un tale gravoso disagio risulta il fatto bellico della Rotta di Roncisvalle, nei Pirenei; che durante l’assalto proditorio, talmente era tale e tanta la paura nei confronti dei Saraceni che, deliberatamente, nell’immaginario collettivo delle genti europee, i Baschi sono stati identificati tout-court con i Mori dando l’incipit eroico alla Chanson de Roland la cui saga consegna delle gesta di cui risulta permeato il nucleo essenziale della poesia epica medievale giunto intatto sino all’epoca odierna.
 In queste condizioni di quasi totale subornazione in cui erano cadute le genti delle regioni occidentali, è chiaro che alcuni elementi del popolo dominatore si siano trasmessi,  anche se, inconsapevolmente, nella vita e nel lessico quotidiano delle popolazioni ridotte in stato di permanente soggezione, e abbiano attecchito e, in conseguenza, si siano imposti segni, lessemi, abitudini di vita poi traslati in permanenza nel DNA dei popoli europei.
 
E non è bastevole affermare come il filosofo ebreo di Malaga Avicenna (980 – 1037); il filosofo e medico persiano Avicebron (1021 - 1058); il medico-filosofo Averroè (1126 – 1198) abbiano fatto conoscere agli Europei imbarbariti, Aristotele e la sua dottrina, per affermare, ex abructo, come l’Europa sia a costoro debitrice della sua anima più profonda e autentica e dire che l’Occidente debba qualcosa a qualcuno in termini di civiltà e di pensiero.
 
È vero che nell’Europa continentale si fosse perso in certo qual modo lo spirito classico della civiltà ellenica, ma si deve altresì aggiungere, con altrettanta risolutezza, che migliaia di Codici si sono conservati e trasmessi integri nella propria essenza grazie ai padri dei grandi complessi monasteriali benedettini che, ricopiandoli con religiosa cura e amorevole attenzione, ne hanno salvaguardato il messaggio e la lezione matetica connaturata in ciascuno di essi favorendo la germinazione dei prodromi che in seguito forniranno sostanza e nerbo che condurrà Emanuele Crisolòra (1350 – 1415), eccellente erudito, a occupare, primo in Italia, una cattedra pubblica per l’insegnamento della lingua e della letteratura ellenica nello Studio fiorentino, dal 1397 al 1400.
 
Al Crisolòra sarà inderogabile affiancare la figura del cardinale Giovanni Bessarione (1395 – 1472), erudito, bibliofilo, fondatore della biblioteca Marciana in Venezia, traduttore della Metafisica di Aristotele, diffusore del culto delle lettere greche e latine in Italia, patriarca di Costantinopoli, scomparso poi a Ravenna nel 1472
 Da più parti, con  notevole leggerezza, si è sempre affermato come la conoscenza della lingua greca in Italia si fosse, tra i popoli del mediterraneo medievale, irrimediabilmente spenta. Affermare tutto ciò non è assolutamente plausibile perché, a pochi passi dalla città di Otranto, sorgeva e operava con assidua serenità un eccezionale centro di cultura italo-greca presso il quale -secondo la testimonianza resa da Oronzo Mazzotta in un suo saggio su monaci e libri greci nel Salento medievale, del 2012-, soggiornavano intellettuali di vaglia, provenienti anche dalla stessa Costantinopoli, per studiare i numerosissimi testi greci che si conservavano nella biblioteca sostanziosa, una delle più ricche dell’intera Europa, di quel monastero: l’Abbazia bizantina di San Nicola di Casole, poi rasa al suolo e totalmente distrutta dai Turchi, nel 1480, durante il vergognoso saccheggio di Otranto i cui segni erano germinati sin dai secoli VI o VII dell’era cristiana.
 In Europa, anche nei momenti più difficili, sono sempre fermentati i segni virtuosi che l’hanno quindi spinta a riprendersi, a cancellare l’impasse che ne hanno talvolta segnato il cammino, sino ai tempi attuali, verso la solidale consapevolezza di una civiltà pacata e severa, dell’umana cristianità.
 
Dell’Araba Fenice, nella narrazione dal sapore favolistico, si diceva che risorgesse, dopo la conclusione del proprio ciclo di vita, dalle sue ceneri. Ecco, con questa esposizione mitologica, forse ci si intendeva riferire all’Europa stessa, alla sua identità immarcescibile. Perché essa, sempre è risorta dalle sue ceneri storiche, dalle sue débâcles di taglio sociale, economico, potendo, con palmare evidenza, contare su di una forza nascosta ma continuamente fermentante, che ha il nome di Cristianesimo. Senza dover rendere grazie, senza la necessità di offrire tributi di qualunque sorta a nulla, e tanto meno, a nessuno. Nunc et semper.
 
Gaetano di Thiène SCATIGNA MINGHETTI