Culture

Peccata, di Antonio Errico

di Alessandra Peluso

 

Ogni romanzo di Antonio Errico è una scoperta. È un viaggio che si deve intraprendere, pur sapendo che la “rotta non c’entra”. Il viaggio è ciò che conta. Così, in un’atmosfera intrisa di misticismo e mistero, la stessa a prima vista, de il “Nome della Rosa” di Eco, il luogo del misfatto: l’abbazia. I segreti dell’umano. Il segreto del demonio. L’eco della soggettività e oggettività dello scrittore. Leggendo, poi, andando verso l’oltre, si percepiscono altri elementi: il Sud, il Mediterraneo, il Nord-Est, Venezia. Non ci sono rotte, solo tragitti compiuti da maschere, e a proposito di maschere non si può non far riferimento, oltre a Pirandello, anche al gioco delle maschere compiuto da Goldoni.   

“Peccata” di Antonio Errico, pubblicato da Manni, è l’illusione del gioco sociale, del volto, della maschera, l’illusione di apparire in un modo scindendo l’io da ciò che è. Per questo, Errico mostra nel palcoscenico della vita il desiderio di riconoscimento e le tracce delle confessioni di donne al confessore, di madri, mogli, di uomini, le cui vicende si intrecciano in un momento specifico della narrazione, l’inverno, la stagione della riflessione, dell’ombra, della “Candelora”, durante la quale le donne chiedono la purificazione a Dio per i loro peccati, Gesù si presenta al Tempio, e in molte zone e in diverse tradizioni, è costume che i fedeli portino le proprie candele alla chiesa locale per la benedizione. Un romanzo che si può definire storico, se necessario, come quelli scritti da Antonio Errico, ma non solo; è riduttivo costringere un lavoro in un determinato tempo, se c’è un tempo, è quello dell’esistenza, dell’individuo, di una soggettività che muta. C’è tuttavia, anche un cominciamento di storie lasciate e poi riprese, come nel primo scritto “Stralune” o ancora nel romanzo “L’Esiliato dei Pazzi”: amori, passioni, confessioni tra ombre, enigmi, menzogne, rivelazioni. Nella notte, nel buio, la coscienza si disvela e acquista consapevolezza del suo essere, o di ciò che sarà il suo destino.     

Ma, la “rotta non c’entra”, dal momento che interessano le metamorfosi dei soggetti, l’evoluzione della parola, l’ermeneutica dell’essere e dell’apparire. Non ci sono pause. Si alternano i silenzi del confessore, l’attesa di un’assoluzione. Non c’è la retorica della finzione bandita dalla scrittura di Antonio Errico la cui “astuzia della Ragione” muove i fili delle scene della tragicità del contemporaneo. Il pensiero affonda tra le cornici di un quadro medievale, senza però, dimenticare che il dipinto dell’Io è dell’oggi e del domani. Sempre. E nella neve, che si consumano le morti, si interiorizza la morte per rinascere purificati a nuova vita. Si spera. Nel frattempo, l’autore gioca e nel gioco si confessa con un’abilità che gli è propria: conscio di ciò è accaduto, o avverrà.  Consapevole persino di un destino che alle volte si prende beffa dell’attore o spettatore sociale; di sicuro, non sembra importi granché allo scrittore: l’uomo si manifesta anche nel buio illuminato da una fiamma flebile di candela.

Approcciando a “Peccata”, il lettore pone se stesso a conoscersi senza restrizione, con il desiderio di osservare il volto, l’autenticità dell’umano. Noi, scrive Jung, contiamo qualcosa solo in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata. 

Da osservare, inoltre, alcune peculiarità del romanzo, quella essenziale sembra riguardare la natura delle “confessioni” che rimanda al pensiero di S. Agostino o di Rousseau: una sorta di narrazione del sé, un’autobiografia per comprendersi, interpretare l’umano per quanto possibile. È questa possibilità certamente, la possiede Antonio Errico che ancora una volta, mostra – dietro l’apparire – le ombre, i misteri che contraddistinguono ciascun individuo, “come se gli occhi perforassero il tenebrore”, ma che alle volte, è proprio difficile ammettere, si ha paura del “giudizio divino”, dell’“inferno”. E dunque, nell’interiorizzare il sé, il noi, i tratti che contraddistinguono una personalità, l’ironia della maschera, l’ambiguità delle relazioni umane, il ‘segreto’; ecco, a un tratto, appare quell’ombra rischiarata dalle candele dei fedeli, - i segreti - che resteranno pur sempre tali nei confini di un’abbazia.

Così, il viaggio prosegue. “La rotta non c’entra”, nemmeno i “peccati”.