di Antonio Prudenzano
su Twitter: @PrudenzanoAnton

Undici decimi (Pequod, 2010 – premio Bagutta opera prima), apprezzato romanzo d’esordio di Alessio Torino, urbinate classe ’75, era ambientato in un paesino immaginario delle Marche: Pieve Lanterna. Con il suo secondo libro, Tetano (premio Lo Straniero), uscito nel 2011 per minimum fax, l’ambientazione non cambia, e i protagonisti sono quattro ragazzi che amano giocare in mezzo ai boschi. Urbino, Nebraska, il terzo libro, in libreria in questi giorni sempre per la casa editrice indipendente romana (nella collana Nichel curata da Nicola Lagioia), invece, si svolge all’interno delle mura di Urbino, ed è anche un omaggio alla cittadina, famosa per il suo centro storico (Patrimonio dell’Umanità) e la sua universitaria. Si tratta di un libro inquieto, ricco di personaggi (il più riuscito è Zena, che trova il coraggio di dare una svolta alla propria vita cambiando facoltà universitaria), legati da una tragedia, che resta sullo sfondo: la morte di due sorelle eroinomani, avvenuta nel 1987.
Affaritaliani.it ne ha parlato con l’autore.

AlessiTorino Foto(c)Alessan

di Antonio Prudenzano
su Twitter: @PrudenzanoAnton

Undici decimi (Pequod, 2010 – premio Bagutta opera prima), apprezzato romanzo d’esordio di Alessio Torino, urbinate classe ’75, era ambientato in un paesino immaginario delle Marche: Pieve Lanterna. Con il suo secondo libro, Tetano (premio Lo Straniero), uscito nel 2011 per minimum fax, l’ambientazione non cambia, e i protagonisti sono quattro ragazzi che amano giocare in mezzo ai boschi. Urbino, Nebraska, il terzo libro, in libreria in questi giorni sempre per la casa editrice indipendente romana (nella collana Nichel curata da Nicola Lagioia), invece, si svolge all’interno delle mura di Urbino, ed è anche un omaggio alla cittadina, famosa per il suo centro storico (Patrimonio dell’Umanità) e la sua universitaria. Si tratta di un libro inquieto, ricco di personaggi (il più riuscito è Zena, che trova il coraggio di dare una svolta alla propria vita cambiando facoltà universitaria), legati da una tragedia, che resta sullo sfondo: la morte di due sorelle eroinomani, avvenuta nel 1987.
Affaritaliani.it ne ha parlato con l’autore.

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Undici decimi (Pequod, 2010 – premio Bagutta opera prima), apprezzato romanzo d’esordio di Alessio Torino, urbinate classe ’75, era ambientato in un paesino immaginario delle Marche: Pieve Lanterna. Con il suo secondo libro, Tetano (premio Lo Straniero), uscito nel 2011 per minimum fax, l’ambientazione non cambia, e i protagonisti sono quattro ragazzi che amano giocare in mezzo ai boschi. Urbino, Nebraska, il terzo libro, in libreria in questi giorni sempre per la casa editrice indipendente romana (nella collana Nichel curata da Nicola Lagioia), invece, si svolge all’interno delle mura di Urbino, ed è anche un omaggio alla cittadina, famosa per il suo centro storico (Patrimonio dell’Umanità) e la sua universitaria. Si tratta di un libro inquieto, ricco di personaggi (il più riuscito è Zena, che trova il coraggio di dare una svolta alla propria vita cambiando facoltà universitaria), legati da una tragedia, che resta sullo sfondo: la morte di due sorelle eroinomani, avvenuta nel 1987.
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Culture

Alessio Torino racconta "Urbino, Nebraska": "E' il mio omaggio a Volponi". L'intervista

 

LA TRAMA DI

Un giorno del 1987, tra le mura di Urbino, succede una disgrazia. Due ragazze, due sorelle, Ester e Bianca, vengono trovate morte su una panchina di un parco pubblico, con l’ago in vena. Dieci anni dopo, venti anni dopo, oggi, Ester e Bianca vivono ancora nelle storie di tante persone comuni. Una studentessa universitaria vorrebbe portare conforto alla loro anziana madre malandata. Alcuni giovani musicisti sembrano ispirarsi alla loro collezione di dischi. Uno scrittore fallito decide di metterle in un romanzo. E poi sopravvivono gli oggetti che lasciano riaffiorare scampoli dai torbidi anni Ottanta fino ai Novanta e al primo decennio del nuovo secolo, tra froga, gloria e intransigenza – una foto sulla mensola di una cucina, un pezzo rock, un ritaglio della cronaca nera del Resto del Carlino, l’anello barattato dalle due sorelle per l’ultima dose di eroina. Composto da quattro brani legati dal filo rosso della storia di Ester e Bianca, il nuovo romanzo di Alessio Torino racconta un luogo fisico, Urbino, che diventa, a poco a poco, luogo universale del cuore. (dalla scheda)

 

L'APPUNTAMENTO


Il 18 settembre, a Roma, alla libreria Giufà (ore 19.30), è in programma la prima presentazione del romanzo. Con l’autore ci saranno anche Goffredo Fofi e Valerio Mastandrea, che leggerà dei brani. Lo stesso giorno Alessio Torino sarà ospite del programma di Radio3 Fahrenheit
 

 

LO SPECIALE

Scrittori, editori, editor, interviste, recensioni, librerie, e-book, curiosità, retroscena, numeri, anticipazioni... Su Affaritaliani.it tutto (e prima) sull'editoria libraria

 

 

AlessioTorino

di Antonio Prudenzano
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Undici decimi (Pequod, 2010 – premio Bagutta opera prima), apprezzato romanzo d’esordio di Alessio Torino, urbinate classe ’75, era ambientato in un paesino immaginario delle Marche: Pieve Lanterna. Con il suo secondo libro, Tetano (premio Lo Straniero), uscito nel 2011 per minimum fax, l’ambientazione non cambia, e i protagonisti sono quattro ragazzi che amano giocare in mezzo ai boschi. Urbino, Nebraska, il terzo libro, in libreria in questi giorni sempre per la casa editrice indipendente romana (nella collana Nichel curata da Nicola Lagioia), invece, si svolge all’interno delle mura di Urbino, ed è anche un omaggio alla cittadina, famosa per il suo centro storico (Patrimonio dell’Umanità) e la sua universitaria. Si tratta di un libro inquieto, ricco di personaggi (il più riuscito è Zena, che trova il coraggio di dare una svolta alla propria vita cambiando facoltà universitaria), legati da una tragedia, che resta sullo sfondo: la morte di due sorelle eroinomani, avvenuta nel 1987.
Affaritaliani.it ne ha parlato con l’autore.

AlessiTorino Foto(c)AlessanAlessi Torino - Foto (c) Alessandro Tontini

Come spiega nei ringraziamenti finali, non avrebbe trovato il “coraggio di mettere Urbino al centro del mondo se Paolo Volponi non l’avesse già fatto in La strada per Roma”. Il suo legame con il luogo in cui è nato è molto forte? E quanto è mediato dalle letture che ha fatto?
“È normale che gli scrittori, parlando dei loro luoghi, li trattino come il centro del mondo. È ininfluente che si tratti di New York, di Londra, di un paese dei Caraibi o della provincia americana più sperduta. Però Volponi l’ha fatto per Urbino e io ho sentito il dovere di fare un omaggio esplicito a questo grande scrittore al di là degli omaggi impliciti che ci sono nel mio romanzo. In più, in tutti i romanzi di Volponi d’ambientazione urbinate, in particolare nella Strada per Roma, c’è un aspetto direi quasi pratico che ho tenuto presente, ed è che Urbino in quei romanzi si trova al centro del mondo anche per quanto riguarda il linguaggio. Faccio un esempio: Volponi nomina luoghi come ‘La Rampa’, ‘Valbona’, ‘Il Mercatale’ senza curarsi che il lettore possa non sapere cosa siano esattamente. Questo non è un segno d’indifferenza verso il lettore, ma, al contrario, d’immensa fiducia. Il lettore vive i luoghi attraverso gli occhi dei personaggi, sente intimità, cosa che rende superflua qualsiasi altra informazione. Essendo io arrivato a scrivere quando molta di questa toponomastica affettiva era già stata ufficializzata da Volponi, mi è stato più facile continuare su quella strada. Quanto alle altre due domande: non credo di poter sapere quanto sia legato davvero a qualcosa di tanto profondo come il mio luogo d’origine: se lo sapessi, smetterei di esserlo; se poi in questo rapporto ci infiliamo anche i libri, è finita!”.

In Urbino, Nebraska gioca un ruolo importante l’immaginario di fine anni ’80-primi anni ’90. Da scrittore, cosa la colpisce di quegli anni?
“La musica come qualcosa in cui credere”.

Nel suo terzo romanzo c’è tanta musica: quale colonna sonora l’ha accompagnata durante la stesura?
“Mentre scrivo non ascolto mai la musica. Mi creerebbe dei paradisini artificiali che andrebbero in pezzi alla prima rilettura”.

Il libro si divide in quattro parti, e il filo conduttore che lega i vari personaggi è la morte di Ester e Bianca. Per la sua generazione l’eroina rappresenta un “trauma”?
“No. La mia generazione ha avuto più bisogno di fumo e di Playstation e poi di coca a una certa ora. L’eroina è stata vissuta più nei racconti di quelli della generazione precedente e nei segni che alcuni si sono portati addosso”.

Lei è un filologo e insegna all’università. E’ interessante il modo in cui descrive la fauna universitaria (oltre che i rapporti familiari) di oggi: che rapporto ha scelto di avere con i suoi studenti?
“Se fauna è sinonimo di varietà umana, allora sì: studenti nerd, studenti brillanti, studenti invecchiati tra gli aperitivi o dentro le biblioteche, professori guida-paterna, professori con un ego alla Luigi XIV, e poi baristi saccenti, spazzini filosofi…  in Urbino, Nebraska ci sono così tante anime che si incrociano che a volte mi sembra un romanzo cavalleresco. Per quanto riguarda invece la mia professione, spero di essere professionale”.

Qual è il suo punto di vista sulla letteratura italiana contemporanea?
“Non sono uno da letture sistematiche, quindi non sono la persona adatta per fare un bilancio della letteratura italiana contemporanea. Spesso nelle letture vado a casaccio, oppure seguo delle vie traverse. Ad esempio, mi piacere leggere gli italiani nelle vecchie edizioni Theoria. Ne vado in cerca nei mercatini dell’usato. Ho ritrovato, ad esempio, Luce del nord e Per dove parte questo treno allegro”.

E a livello stilistico, quali letture l’hanno influenzata?
“Con i modelli bisogna andarci cauti perché vale sempre e comunque l’aforisma di Picasso sui dieci anni per imparare a dipingere come Raffaello e gli altri dieci per disimparare. È in questi secondi dieci che si gioca la partita. Il ritmo e la voce di una narrazione li trovi, se li trovi, sempre dentro di te, al di là dei modelli a cui pensavi quando eri partito. È un’andatura, un passo. E per Urbino, Nebraska è stato decisivo uscire dal centro storico – congestionato di memorie letterarie dal  Cinquecento fino a Paolo Volponi – e andare tra i quartieri della periferia: la piscina, il campo sportivo, il Conad, luoghi che era come se non esistessero perché non esistevano a parole”.

Che rapporto ha con il mondo editoriale italiano? Lo osserva a distanza?
“Uno scrittore non può pensare di essere un mondo a parte rispetto all’ambiente in cui, in un modo o nell’altro, trovano spazio i suoi libri. È vero che ci sono aspetti che sembrano toccarti più da vicino, come il confronto con l’editor e i redattori, ma anche quelli più esteriori come le fiere ti riguardano eccome. Osservare a distanza un mondo di cui fai parte, non è cosa per me. E poi le maestranze del libro sono una realtà che trasmette entusiasmo. Basterebbe pensare a quante cose s’imparano dai traduttori. A me è capitato di incontrare persone di grandissimo gusto che mi hanno indirizzato verso letture a cui da solo non sarei mai arrivato e dato consigli fondamentali. Certo, soprattutto quando ci si trova alle prime armi, possono capitare anche incontri di altro tipo: il giudice di X-Factor mancato è un soggetto ricorrente – ma sono tutti uguali, sopravvissuto a uno si sopravvive a tutti”.

Ha già in mente la trama del suo quarto romanzo? Prima o poi ambienterà un libro lontano dalle sue Marche?
“Non sento 'le Marche' come qualcosa che unifica i miei primi romanzi. Urbino è un posto completamente diverso rispetto al paese appenninico di Tetano e di Undici decimi. Urbino è sì una piccola cittadina delle Marche, ma è anche una metropoli in miniatura, nel senso che camminando per le sue strade s’incrociano persone che vengono non solo da tutta Italia, ma da tutto il mondo. In passato mi sono posto il problema dell’ambientazione.  Mi facevo la domanda: ma non dovrò ambientare qualcosa anche in un altrove che sappia decisamente di altrove? Poi ho smesso di preoccuparmi e ora credo che preoccuparsene sarebbe un segno d’immaturità. Per quanto riguarda il mio quarto romanzo, il dubbio amletico non sarà quale scrivere, ma quale non scrivere”.