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Economia
Alitalia, Di Maio vuole studiare il dossier. Ecco i conti da fare

Il dossier Alitalia approda sul tavolo del neo ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, che ancora una volta prende tempo, spiegando che “si deve prima mettere fuori tutto quello che riguarda i conti economici, dopo vediamo anche chi l’ha distrutta quell’azienda”, il problema Alitalia, per Di Maio “è un altro dossier sulla mia scrivania lo stiamo affrontando già soltanto che, come vedete, nel cronoprogramma c’è prima l’Ilva”.

Di Maio si mantiene vago anche sull’ipotesi circolata nelle ultime settimane di una ri-nazionalizzazione: “c’è una norma approvata dal Parlamento qualche mese fa che obbliga l’Italia a pubblicare tutti conti economici entro l’estate”, dopo si capirà chi ha causato i guai dell’ex compagnia di bandiera e si potrà valutare quale sia la soluzione migliore per il suo destino, conclude il ministro pentastellato. Che forse non ha ben presente la storia economica recente, altrimenti sarebbe meglio informato sull’andamento dei conti e sulle origini della crisi del vettore aereo italiano.

Non c’è infatti alcun mistero nella vicenda Alitalia: la compagnia aerea, dopo anni di un andamento negativo, ha visto le perdite accelerare tra il 2016 e il 2017, a causa della crescente concorrenza nel settore (dove l’offerta è in crescita grazie alle low cost ma anche ad una strategia più aggressiva da parte delle principali concorrenti come Lufthansa e Air France), che ha ridotto i ricavi per passeggero, e dall’impossibilità di ridurre significativamente i costi industriali, a differenza di altri come Lufthansa stessa, perché ingessata in poco vantaggiosi contratti ad esempio sui carburanti.

Ancora nel 2015 Alitalia spese per il carburante 721 milioni di cui 52 milioni legati a perdite su contratti derivati di copertura contro eventuali rialzi del prezzo del carburante stesso (che invece scese in scia al petrolio, tornato solo in questi ultimi mesi sui livelli del 2014). Se Alitalia, fece già notare Ugo Arrigo in un’analisi pubblicata su Lavoce.info, avesse avuto la stessa capacità di Lufthansa di ridurre i propri costi, la spesa si sarebbe ridotta di 142 milioni l’anno dopo, come invece non è stato.

Non solo: Alitalia stessa nel marzo dello scorso anno evidenziò un sovra costo del 23% sui contratti di leasing per gli aerei a medio raggio, addirittura del 41% per quelli degli aerei regionali e del 63% per gli aerei a lungo raggio. In tutto si è trattato di 86 milioni di euro di maggiori costi sopportati dalla compagnia italiana rispetto alla media dei suoi concorrenti. I servizi di manutenzione sono invece costati “solo” il 19% in più della media dei concorrenti (46 milioni di euro di extracosti), quelli di handling un 25% in più (altri 59 milioni), mentre i costi commerciali erano stimati pari al 7,8% del fatturato totale, contro un benchmark del 3,3%, con un risparmio in caso di riallineamento stimabile in 125 milioni.

Facciamo due conti della serva: se Alitalia potesse adeguare i contratti coi suoi fornitori, potrebbe risparmiare oltre 450 milioni di euro l’anno, più del doppio della perdita (203,2 milioni) accusata lo scorso anno.

Non si tratta dunque di un problema di nazionalizzazione, ma di competenze (e di interessi di tutti gli attori in gioco nel settore del trasporto pubblico). Sarà solo un caso se chi più di tutti ha sostenuto l’ipotesi di una nazionalizzazione a tutela di un presunto “superiore interesse nazionale” sono quasi sempre stati manager e aziende che gravitano nel comparto dei fornitori della compagnia?

Interessante notare anche la posizione del segretario della Lega e vicepresidente del consiglio, il ministro degli Interni Matteo Salvini, che ha più volte dichiarato come Alitalia non andasse “svenduta a multinazionali o società straniere, ma valorizzata come compagnia di bandiera” perché “un paese che ha nel turismo una sua fonte di ricchezza” non può “non avere una compagnia di bandiera che risponda all’interesse nazionale e non serva da sub fornitore per aeroporti di altri paesi europei. Va fatto di tutto perché Alitalia sia al servizio del turismo italiano”. Salvini, in sostanza, senza aver mai precisato se Alitalia debba eventualmente essere totalmente rinazionalizzata o meno, continua a sostenere il vecchio cavallo di battaglia della Lega, ossia la necessità di difendere e sviluppare l’hub di Malpensa facendo leva su Alitalia.

Ma quanti sono i paesi a vocazione turistica che hanno una propria compagnia di bandiera al giorno d’oggi? Non la Germania, visto che lo stato non possiede neppure un’azione di Lufthansa, così come accade in Gran Bretagna con British Airways (privata al 100%), non del tutto la Francia, visto che la presenza pubblica nel capitale di Air France è limitata al 15,9% e dove nonostante le recenti vicissitudini il governo ha già escluso ogni possibile aiuto di stato, non la Spagna, visto che l’azionista pubblico è sì presente in Iberia, ma solo col 5,22%.

Nel frattempo, l’Antistrust Ue ha già aperto un dossier per valutare la corretta applicazione delle norme sugli aiuti di stato in relazione all’ennesimo “prestito ponte” da 900 milioni di euro, deliberato i due tempi (i primi 600 milioni a maggio 2017, i secondi 300 milioni lo scorso ottobre) per una durata di 18 mesi, salvo proroghe, in luogo dei 6 mesi consentiti usualmente dalle norme europee.Ogni ulteriore allungamento dei tempi per arrivare alla cessione di Alitalia rischia di essere interpretato come una violazione delle norme europee, tanto più che pare essere servito a finanziare il capitale circolante di Alitalia (in sostanza i flussi di incassi e pagamenti per cassa) e non gli investimenti, al momento congelati in attesa di conoscere i piani del prossimo proprietario, privato o pubblico che sia.

Valuti infine il ministro Di Maio anche un ultimo particolare: pure il governo tedesco ha concesso un prestito ponte ad una compagnia aerea in difficoltà, Air Berlin. Ma in quel caso i 150 milioni prestati sono stati restituiti integralmente dopo poche settimane, una volta che Air Berlin ha accettato la proposta d’acquisto avanzata da Lufthansa. La stessa compagnia aerea che ha avanzato un’offerta per l’ex compagnia di bandiera italiana (che nel 2016 l’allora presidente Montezemolo rivelò perdere circa 500 mila euro al giorno) ma che, visto anche l’ulteriore allungarsi dei tempi, sta iniziando a guardarsi in giro in cerca di altri possibili acquisti, come Norvegian Air, terza compagnia low cost d’Europa e prima per collegamenti a basso costo tra Europa e Usa.

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