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Economia
Auto elettrica? Un grande bluff. I 4 ostacoli alla sua diffusione

Di Giovanni Esposito*

A livello globale c’è un parco circolante di oltre 1,3 miliardi di veicoli (“World Vehicles in use” fonte Oica) che, in base ai recenti ritmi di crescita (media annua del 3,7% nel periodo 2006-2015) raggiungerà, in un decennio, la soglia dei 2 miliardi, che oramai quasi tutti danno per scontato saranno mossi (quantomeno in termini di nuova immatricolazione) da un motore elettrico. Contrariamente a ciò, già una preliminare analisi, ci segnala che la questione è molto più complessa di quanto sembri: invero pare sia divenuta di secondaria importanza l’evidenza che l’energia elettrica non esiste in natura (non si raccoglie dagli alberi o si estrae dal suolo). In altre termini, per far girare la ruota di 2 miliardi di vetture spinte da motore elettrico, un’imponente quantità di energia dovrebbe essere prodotta, trasmessa, distribuita, accumulata, infine trasformata in potenza meccanica; ma gli ostacoli che ciò possa avvenire, agevolmente a medio termine, sono almeno quattro.

1) Per semplificare analizziamo il mercato nostrano, il cui numero di veicoli in uso è pari a 42 milioni e la percorrenza media è di 10 mila Km l’anno. Considerando che un’auto elettrica ha un consumo medio di circa 20 KWh per 100 Km percorsi, che arrivano a 25 KWh se considerassimo tutti i mezzi, compreso camion e bus, per un utilizzo dell’elettrico su vasta scala sarebbe necessaria una potenza aggiuntiva di oltre 100 TWh annui. Il fabbisogno di energia elettrica italiana (dati 2016) è pari a 314,3 TWh, soddisfatto per l’88% da produzione nazionale (pari a 275,6 TWh, di cui 187,4 TWh termoelettrico) e per la restante quota (pari a 37,0 TWh) da importazioni nette dall’estero. Volendo colmare anche il deficit d’importazione, mancano all’appello 140 TWh anni, pari al 50% dell’intera produzione nazionale ed al 700% di quella fotovoltaica. Risulta, quindi, evidente che, in difetto di un impegnativo piano energetico nazionale, una sostenibile conversione all’elettrico sia pura utopia.

2) Per tutte le propulsioni, l’effettivo rendimento va rettificato in ragione di diversi e spesso difficilmente quantificabili fattori, come nel caso dei motori a combustione interna per i quali va considerata l’energia necessaria per la raffinazione ed il trasporto. Rispetto al 40% del diesel e al 28% della benzina, i motori elettrici hanno un’efficienza che si avvicina al 90%; ma, salvo immaginare che esiteranno esclusivamente centrali alimentate da fonti rinnovabili (ipotesi attualmente di impossibile praticabilità), il rendimento complessivo dell’auto elettrica, scontato dalle perdite nei generatori termoelettrici (50% in quelle efficienti a ciclo combinato), nella trasmissione e distribuzione (6% secondo Terna), nonché nell’accumulo nelle batterie, è pari, nelle ipotesi maggiormente ottimistiche, al 30%, quindi inferiore a quello a gasolio.

3) Il serbatoio dell’auto elettrica è costituito dalle batterie, le cui peculiarità (costruzione, autonomia, tempo di ricarica, effetto memoria, durata, perdita di ricarica quando non in uso, smaltimento) pongono numerosi questioni, quali le problematiche relative ai danni ambientali relativi all’estrazione della materia prima, la necessità di realizzare un’infrastruttura elettrica che alimenti una capillare diffusione delle colonnine di ricarica e l’effettiva disponibilità dei componenti necessari alla realizzazione di una quantità enorme di accumulatori; senza considerare che, solo implementando un completo ed efficace ciclo di smaltimento (raccolta, smantellamento e recupero dei materiali), si eviterebbe che le batterie esauste danneggino fortemente l’ambiente.

4) Gli enormi benefici ed esenzioni concessi in termini di tassazione alle auto elettriche sono sostenibili dalla fiscalità generale, solo in funzione della loro limitata diffusione. Come si pensa di compensare il mancato gettito scaturente dalla scomparsa delle auto mosse da motore a scoppio? Dubbio di non poco conto, considerando che, solo, sui consumi di carburante per autotrazione, l’Erario incassa, fra accise ed iva, oltre 30 miliardi di euro l’anno.

Allora perché vi è questa corsa all’auto attaccata alla spina? Da una parte incombono, come una tagliola, i limiti Eea (95gr/km di CO2), dall’altro la Cina punta sulla motorizzazione elettrica perché la sua industria non appare in grado di colmare il gap competitivo su quelli termici.
Pur non volendo dare alcun carattere di scientificità alla presente analisi (peraltro limitata all’Italia), è ragionevolmente lecito dubitare che la diffusione dell’auto elettrica su vasta scala, all’attualità (anche in termini di tecnologie disponibili), sia favorevolmente praticabile e, quindi, densa di insidie; salvo immaginare l’alimentazione delle prossime auto ecologiche, in Italia con energia elettrica prodotta da centrali nucleari svizzere o francesi ed in Cina da quelle a carbone.

*Autore del saggio “C’era una volta l’auto italiana, Da Leonardo da Vinci a Sergio Marchionne”

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