Benetton, dai fassonisti al franchising: così è nato il "sistema Benetton"
Benetton, i “geni" della “finanza creativa” eran presenti nella famiglia ben da prima che diventassero una multinzionale
Giuseppe Vatinno ha tracciato, su Affaritaliani.it un ritratto di famiglia dei fratelli Benetton, passati, ad un certo punto, da grandi industriali a pescecani della finanza. Questo non è del tutto vero. I “geni della “finanza creativa” eran presenti nella famiglia ben da prima che diventassero una grande azienda multinazionale.
Sviluppato il concetto di tessitura in bianco e colorazione successiva, cambiato il nome dell'impresa da Tres Jolie a Benetton (da un' idea di Carlo Maria Mazzaro), a Ponzano Veneto venne messo a punto il “Sistema Benetton”. Siamo all'inizio degli Anni Settanta, il franchising era ancora al di la da venire (c'era sì il ngozio di Calmaggiore e, forse, quello di Belluno, rifornito da Luciano con la 1100). I capi si trovavano per lo più ai grandi magazzini – Rinascente, Coin. La produzione era affidata a 800 terzisti, meglio conosciuto come “fassonisti”, piccole imprse artigiane o individuali, per lo più laboratori di carattere famigliare. C'era chi faceva il corpo, chi le maniche o il colletto. E, alla fine, chi cuciva tutto insieme. Un gran via vai di furgoni nella pianura veneto-friulana. Però (giustamente) bisognava assicurare l'omogenetà della produzione; qundi tutti dovevano utilizzare le stesse macchine – a tre, quattro o più aghi. Però queste costavano un bel po'. “Ste qieti - asscirava sior Luciano -aa machina ghe penso mi.” Infatti il macchinario arrivava, insime alla prima tratta del leasing Made in Ponzano.
Arrivò la globalizzazione e con essa la delocalizzazione. Produrre con il “Sistema Benetton” non era più conveniente. Meglio affidare il lavoro a improvvisate fabbriche del terzo Modo, soprattutto Bangladesh. Cosi i poveri “fassonisti” di casa nostra si ritrovarono senza commesse ma con le tratte ancora da onorare. Sui mercati di mezzo mondo serviva un marchio forte, “globale”, ed ecco United Color of Benetton, una parodia delle Nazioni Unite, che puntava tutto sulla formula “franchising”. Che però imponeva agli affialiati non solo l'acquisto dei prodotti, ma anche dell'aredamento e delle attrezzature. Tutte gentilmente messe a disposizione dal gruppo con emissione di relative tratte. Vendi o non vendi, comunque paghi. Al centro di tutto, il registratore di cassa, direttamente collegato al computer centrale che prende buona nota degli incassi e provvede ai riordini dei capi in automatico.
A bene vedere – nei tempi migliori – un bel flusso quotidiano di contante, senza alcun tipo di ivestimento, se non quello in valanghe di pubblicità, senza storia e senza conetuti, solo colori di facce e magliette. Ancor prima delle autostrade, degli aeroporti e così via era davvero una bel godere, una mano santa salutata con la fotografica benedizione Urbi et Orbi – fra un giro di prosecco e l'altro in compagnia del pensionato Sergio Saviane – da don Oliviero Toscani. Quello che dopo mille scuee di clinton chiama i veneti “mbriagoni”.