Economia

Carige, cura da cavallo da 400 milioni. Malacalza brucia 338 milioni

Il Fondo interbancario investirà fino a 320 milioni in un bond subordinato, altri 80 milioni da investitori e soci. Mincione ci sta, Malacalza nicchia

Dopo essere rimasta sospesa per tutta la giornata a Piazza Affari (su richiesta avanzata alla Consob da parte della società “al solo fine di evitare movimenti speculativi, anche alla luce delle indiscrezioni riportate da alcuni media”), Banca Carige non ha deluso le attese, annunciando a mercati chiusi che il Cda ha approvato una manovra di rafforzamento “volta ad assicurare in tempi brevi il ripristino dei coefficienti patrimoniali”.

Le indiscrezioni nel fine settimana avevano parlato di un’operazione di rafforzamento basata sull’emissione di un bond subordinato Tier2 da 300-400 milioni di euro e su un successivo aumento di capitale, da completare nella prima parte del prossimo anno, con cui raccogliere le risorse necessarie a rimborsare il bond stesso e il comunicato dell’istituto ligure conferma il lancio di “obbligazioni subordinate Tier 2” e di “un successivo aumento di capitale” precisando che “le due operazioni combinate ammontano ad un massimo di 400 milioni di euro”.

In particolare il bond subordinato avrà “un ammontare complessivo compreso tra 320 milioni e 400 milioni”e saranno sottoscritte “per 320 milioni dallo Schema volontario di intervento del Fondo interbancario di garanzia, il cui consiglio di gestione ha già deliberato in merito convocando apposita assemblea” per il 30 novembre prossimo. Per i restanti 80 milioni si provvederà ad un collocamento “presso investitori privati (compresi eventuali attuali azionisti) che avranno, in caso di raccolta di manifestazioni di interesse per un ammontare complessivo superiore, la possibilità di sottoscrivere fino a massimi 200 milioni”, riducendo dunque ad un minimo di 200 milioni l’intervento del Fondo interbancario.

Si noti che la scorsa settimana lo stesso Fondo interbancario aveva deciso di ricapitalizzarsi per 2,7 miliardi grazie ai contributi di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps, Banco Bpm e Ubi Banca proprio in vista di operazioni come questa di Banca Carige, il cui eventuale fallimento costerebbe fino a 8 miliardi al sistema, equivalente al controvalore dei depositi protetti dell’istituto ligure. L’interesse dei principali banchieri italiani ad aiutare un concorrente in difficoltà per evitare guai potenzialmente peggiori è chiaro, ma cosa faranno gli azionisti di Banca Carige?

Se Raffaele Mincione, attraverso la Pop 1 (socia al 5,43%), ha già reso noto di aver comunicato a Banca Carige “il proprio irrevocabile impegno per l’importo di 20 milioni” nell’operazione di rafforzamento patrimoniale, il comunicato non dice nulla circa il previsto analogo impegno da parte dell’azionista di riferimento, col 27,555% del capitale, il gruppo Malacalza, che le ultime voci davano titubante circa l’opportunità di impegnarsi fino a 50 milioni di euro, come pure non è nota la decisione di Gabriele Volpi (socio al 9,9%). Si noti che Mincione ha condizionato il proprio impegno “alla individuazione e definizione di una adeguata remunerazione da concordarsi tra le parti in buona fede”.

Così forse proprio la definizione della “adeguata remunerazione” è il punto che ancora deve essere risolto tra la banca e i Malacalza (e Volpi) per ottenere la loro formale adesione all’operazione. Del resto i Malacalza hanno già investito circa 395 milioni per una partecipazione che oggi vale meno di 57 milioni (a fronte di una capitalizzazione corrente di soli 206 milioni), con una minusvalenza potenziale di circa 338 milioni, e che rischia di valere ancora meno in futuro se il gruppo non sborserà altri 110 milioni l’anno prossimo, una volta che l’assemblea degli azionisti di Banca Carige convocata per il prossimo 21 dicembre avrà dato il via libera alla ennesima ricapitalizzazione (appunto da 400 milioni, il doppio delle cifre circolate ancora quest’estate).

A imprimere questa ultima accelerazione nella pulizia di bilancio (a fine settembre le svalutazioni da inizio anno erano salite a 236,1 milioni contro i 175,1 milioni dello stesso periodo del 2017), come hanno spiegato i vertici dell’istituto presentando i conti dei primi 9 mesi, sono stati i risultati di “un’ampia verifica condotta sul portafoglio crediti”, anche oggetto dell’ispezione condotta dalla Banca d’Italia per conto della Bce. Svalutazioni e accantonamenti (29,8 milioni quelli a fondi rischi e oneri contro i 22,7 milioni di un anno prima) che hanno portato ad un coverage del 53,7% (svalutazioni incluse) e ad un costo del credito annualizzato del 2,14%.

Così, nonostante un margine operativo lordo positivo sui nove mesi per 36,7 milioni (+65,8% rispetto a un anno prima), il risultato di periodo è stato negativo per 188,9 milioni netti e si è reso necessario il riequilibrio degli indicatori patrimoniali, che con l’operazione di rafforzamento risaliranno al 13,5% pro-forma (dal 10,8% attuale) a livello di Cet1 e al 13,6% pro-forma (dal 10,9% attuale) a livello di Total capital. A quel punto, con un turnaround in corso già visibile a livello di business e conti finalmente ripuliti, Banca Carige potrà diventare una preda appetibile, magari per un’altra banca italiana come Mps, al momento controllata dal Tesoro (68,27% del capitale).

Forse per questo, o forse perché delle ventilate misure di “sostegno alle banche in difficoltà” da parte del governo ancora non vi è ancora traccia, il premier Giuseppe Conte, ha voluto subito esprimere la “piena soddisfazione del governo per la decisione del Consiglio di gestione dello Schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi di sostenere l’operazione di rafforzamento patrimoniale deliberata in data odierna dal consiglio di amministrazione di Carige”, evitando all’esecutivo di doversi impegnare su un nuovo fronte proprio mentre sta cercando di trovare un’intesa sulla manovra 2019 con la Ue.

Luca Spoldi