Economia
Cattolica, caso Minali verso l'assemblea. La 'guerra di Verona' può esplodere
Piccolo soci in manovra per chiedere spiegazioni sul “terremoto ai vertici” di fine ottobre, caso su cui hanno aperti un faro anche la Consob e l'Ivass
Cattolica Assicurazioni stabile in Borsa, dove il titolo resta sui 7,35 euro nonostante la richiesta che sarebbe già stata formulata da un paio di piccoli azionisti, a nome proprio e di terzi, cui farebbe capo circa il 2,5% del capitale sociale dell’assicuratore veronese, di ottenere maggiori informazioni dal Consiglio di amministrazione in merito alla vicenda dell’improvvisa e imprevista uscita di scena dell’ex amministratore delegato Alberto Minali (ex direttore generale di Generali), cui il 31 ottobre scorso sono state ritirate tutte le deleghe, pur rimanendo Minali membro del board.
In assenza di una risposta dal Cda, che pare aver ritenuto la richiesta priva di fondamento giuridico, i due soci (Francesco Brioschi, a titolo personale e per conto di Sofia Holding, e Massimiliano Cagliero, di Banor Sim) si starebbero attivando per promuovere una convocazione di assemblea straordinaria, che secondo il codice civile deve essere convocata “senza ritardo” dal Cda qualora ne facciano richiesta soci “che rappresentino almeno il ventesimo del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio”.
Basterebbe dunque che la Fondazione Banca del Monte di Lombardia (azionista al 3,16%) si aggregasse alla richiesta, piuttosto che Dfa (Dimensional fund advirsors Lp, azionista al 5%) o Berkshire Hathaway (la holding d’investimento di Warren Buffett, entrata nel capitale con un 9%), perché l’assemblea si debba tenere e il Cda debba fornire quelle informazioni dettagliate che già Consob e Ivass avrebbero a loro volta richiesto. In realtà il board di Cattolica appare sempre più spaccato, dopo aver assegnato pro tempore le deleghe di Minali al direttore generale Carlo Ferraresi.
All’ombra dell’Arena si mormora che alla base dell’esautorazione di Minali (sul cui operato il Cda ha intanto avviato due audit interni finalizzati sostanzialmente a verificare l’esercizio dei poteri e l’esecuzione delle procedure di internal deal), nel frattempo dettosi sereno perché “non ho nulla da nascondere, o fatto atti di cui mi debba pentire”, notando “che prima mi sono state tolte le deleghe e poi si vanno cercando le ragioni per giustificarlo”, sia legata ad uno scontro che si protraeva ormai da mesi col Cda e in particolare col presidente di Cattolica Assicurazioni, Paolo Bedoni.
Mentre Minali provava a spingere a fondo l’acceleratore della riorganizzazione interna e della trasformazione in Spa, il Cda presieduto da Bedoni avrebbe voluto mantenere la forma cooperativa (che contraddistingue l’assicuratore fin dalla nascita, nel 1896) e un più saldo rapporto col territorio, una posizione che ha subito trovato il sostegno di Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. Lo scontro apparentemente si è chiuso con la vittoria del fronte “cooperativo”, ma non è detto che così sia realmente.
Minali gode infatti di vasto credito presso gli investitori e lo stesso Cda di Cattolica non ha potuto che esprimere “soddisfazione per i risultati finanziari” conseguiti (107 milioni di utile netto nel 2018, il miglior risultato da 10 anni in qua), avendo inoltre approvato all’unanimità il piano industriale messo a punto dallo stesso Minali e che il suo successore, Ferraresi, ha già dichiarato di voler attuare. Sentito dall’Ivass, Minali avrebbe inoltre già smentito di aver “tramato” per trasformare Cattolica Assicurazioni in società per azione o di essere in qualche modo collegato alle eventuali richieste di convocazione di un’assemblea straordinaria per deliberare in merito a modifiche statutarie (introduzione di un limite ai mandati e di un tetto di 70 anni d’età per i partecipanti agli organi aziendali).
Sempre l’ex numero uno ha poi negato di essere mai stato a favore dell’eventuale assunzione di una partecipazione in Ubi Banca (con cui l’accordo di bancassurance è in scadenza l’anno venturo e potrebbe non essere rinnovato), dicendosi anzi contrario a causa dell’aumento di capitale che una simile operazione (poi mai deliberata) avrebbe finito col richiedere. Visto che le scuse non (formalmente) richieste sono sovente conferme di accuse (non formulate), sarebbe forse utile che il Cda di Cattolica Assicurazione fornisse ai propri soci e agli investitori tutti, essendo il gruppo quotato in borsa, una valutazione di cosa comporterebbe un’eventuale riorganizzazione che comportasse la separazione delle attività assicurative, da mantenere quotate in una società per azione, dalla società cooperativa, che manterrebbe il controllo della Spa.
Così a Piazza Affari è già partito il toto-assemblea, per cercare di capire, se davvero si arriverà ad una convocazione, chi potrebbe sostenere una simile riorganizzazione ovvero le modifiche statutarie che consentirebbero di aggiornare il modello di governance di Cattolica. Un’ipotesi che oltre ai fondi già ricordati potrebbe non dispiacere all’altro grande centro di potere territoriale di Verona, la Fondazione CariVerona che dopo aver rilevato parte dei titoli in mano alla Banca popolare di Vicenza in liquidazione (l’altra parte essendo stata rilevata da Buffett) dovrebbe avere circa un 3,4% di capitale.
Quanto basta, ancora una volta, per arrivare a chiedere l’assemblea e chiedere spiegazioni del “terremoto ai vertici” di fine ottobre, oltre che per valutare i riflessi che tale vicenda potrà avere sulla governance e il piano industriale presente e futuro di Cattolica, garantendo continuità ai risultati economico-finanziari sin qui ottenuti pur mantenendone un’identità saldamente cooperativa. Una quadratura del cerchio che sembra doversi in ogni caso tentare in modo trasparente e in tempi ragionevoli per non perdere il sostegno degli investitori.