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Economia
Confindustria, i piccoli si "agitano". Ma sul dopo-Bonomi è tutto fermo
Antonio Gozzi, Alberto Marenghi, Giuseppe Pasini, Antonio D'Amato, Leopoldo Destro, Enrico Carraro

Confindustria, i piccoli pronti a scendere in campo

Tra poco più di quattro mesi, si assisterà al passaggio di testimone all'interno di Confindustria, e già sono in corso movimentate manovre - come riporta Il Giornale - per la successione di Carlo Bonomi. Nell'arena si discute apertamente dei potenziali candidati (Emanuele Orsini, Giovanni Brugnoli, Alberto Marenghi, Maurizio Stirpe) che verranno sottoposti al giudizio degli esperti il prossimo 4 aprile. Questa decisione è di vitale importanza e segnerà una discontinuità rispetto alle ultime direzioni, visto il costante declino dell'associazione degli industriali nell'ultimo decennio. La situazione è talmente preoccupante che alcuni quotidiani titolano ormai sull'"irrilevanza della Confindustria". Come ha potuto un'istituzione che nel secolo scorso era consultata dai governi tanto quanto la Banca d'Italia raggiungere questa situazione critica? Le responsabilità di questi cambiamenti epocali non possono essere attribuite a una singola persona, ma a volte alcuni individui hanno contribuito a questo declino.

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La rovina di Confindustria ha avuto origine a Milano, il cuore dell'imprenditoria italiana. Otto anni fa, i vertici di Assolombarda decisero di rinfrescare l'immagine dell'associazione scegliendo un giovane presidente. Si dice che Diana Bracco, già un'amata figura nell'ambiente imprenditoriale milanese, abbia promosso questa nuova direzione, portando alla nomina di Carlo Bonomi, un imprenditore poco noto. Questo gesto simboleggiava il passaggio di testimone da una generazione all'altra. Giorgio Squinzi, importante figura alla guida del gruppo Mapei e già presidente di Federchimica e Confindustria, era scomparso di recente. Marco Tronchetti Provera, storico leader di Pirelli, si era interessato all'associazione degli imprenditori durante la presidenza di Luca di Montezemolo, ma aveva successivamente ridotto il suo coinvolgimento. Gianfelice Rocca, un altro possibile candidato, aveva sempre preferito concentrarsi sul suo impegno in Techint, l'azienda di famiglia.

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Anche Fininvest aveva avuto un rappresentante nel consiglio direttivo per molto tempo, ma con la riforma dello statuto, Gina Nieri era diventata membro del Consiglio generale, un organismo più ampio con 183 membri responsabile dell'elezione del nuovo presidente. Anche Sergio Dompè, del gruppo farmaceutico omonimo, era coinvolto nella vita associativa, ma preferiva concentrarsi sulla sua associazione, in linea con la tradizione. La scelta di Bonomi come leader di Confindustria sembrava quindi la soluzione migliore per apportare il cambiamento desiderato. Ha svolto il suo ruolo in Assolombarda con determinazione, probabilmente vedendolo come una piattaforma ideale per un rapido salto a livello nazionale. Appena eletto, ha partecipato a numerose assemblee territoriali, che sono state ottime occasioni per stringere legami e costruire relazioni. Questo sforzo ha contribuito al suo successo quattro anni dopo, quando ha sconfitto Licia Mattioli nella corsa per la presidenza di Confindustria, sostenuto dagli imprenditori milanesi.

Tuttavia, una volta raggiunto l'obiettivo e insediato nella scenografica foresteria romana dell'associazione, è chiaro che ha deluso i suoi mentori precedenti. La lobby degli imprenditori, sotto la sua guida, non è stata in grado di stabilire un dialogo costruttivo con i vari governi. Invece di svolgere un ruolo chiave nella definizione della politica economica, Bonomi ha sorprendentemente portato gli imprenditori dal Papa. Inoltre, durante l'assemblea di quest'anno, ha dichiarato che si interessava della democrazia e non delle questioni economiche, un approccio che ha sicuramente rallegrato il governo, ma ha frustrato chi si aspettava una leadership più incisiva in materia economica.

La sua relazione con Giorgia Meloni è stata altrettanto problematica, specialmente quando ha cercato di ottenere un taglio fiscale di 16 miliardi senza tener conto delle esigenze del paese e nell'anticipazione di una crisi che poteva essere prevista. Questo atteggiamento è stato visto come una provocazione, minando la fiducia del governo e dimostrando l'irrilevanza crescente di Confindustria. Di fronte a tutto ciò, gli imprenditori milanesi hanno espresso crescente insoddisfazione nei confronti di Bonomi. La sua gestione è stata segnata da alcuni scivoloni personali, come la sua candidatura per la presidenza della Figc o la sua pretesa di presiedere l'Università Luiss senza soddisfare tutti i requisiti necessari. Con Bonomi ora archiviato, in parte grazie agli anni di Covid e alle riunioni virtuali che hanno evitato contestazioni plateali, le circa 150.000 imprese associate a Confindustria sono alla ricerca di un nuovo leader in grado di riconquistare rilevanza.

La domanda che si pongono ora tutte le associazioni territoriali di Confindustria è se gli imprenditori milanesi convergeranno attorno a Alberto Marenghi, il candidato ufficiale di Bonomi, o se sceglieranno di esplorare nuove opportunità provenienti da altri contesti. La campagna elettorale per la successione alla presidenza di Assolombarda è già iniziata, con il presidente di Confindustria Carlo Bonomi al centro delle critiche per le sue azioni passate.

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