Economia

Giovani sottoccupati e sovra-istruiti. L'indagine dei Consulenti del Lavoro

Il Focus Lavoro su “Giovani sottoccupati e sovraistruiti” mette in luce due gravi deficit dell’occupazione giovanile

SINTESI Note al lettore Il Focus Lavoro su “Giovani sottoccupati e sovraistruiti” mette in luce due gravi deficit dell’occupazione giovanile: l’aumento della sottoccupazione e il fenomeno della sovraistruzione dei laureati rispetto all’occupazione che svolgono. Negli ultimi 10 anni i giovani occupati tra i 15 e i 34 anni sono diminuiti di circa 1,4 milioni. La scomposizione di questo dato evidenzia che i giovani perdono oltre 1,5 milioni di posti a tempo indeterminato e ne guadagnano 112mila nel tempo determinato. Dall’analisi emerge poi che gli attuali giovani occupati sono principalmente assunti part time (il 30% in più del 2008). Inoltre, gli occupati laureati nella classe di età tra 20 e 34 anni (circa 1,2 milioni), il 28% (348mila), risulta sovra-istruito (overqualification rate), cioè occupa una posizione professionale che in realtà non richiede il livello di istruzione conseguito.

NOTE AL LETTORE - I dati presentati in questo focus derivano dalla rilevazione continua sulle forze di lavoro condotta da Istat su base campionaria.Il tasso di sovra-istruzione dei laureati rappresenta la quota laureati occupati che svolge una professione che non richiede la laurea.La variabilità geografica del tasso di occupazione giovanile vede una fortissima divaricazione fra Nord e Sud del Paese. Ad esempio, Venezia (dove solo l’8,3% dei giovani fra i 15 e 24 risulta disoccupato) ha un tasso di disoccupazione giovanile di oltre 55 punti percentuali in meno rispetto a Foggia. (Figura 2)  

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La situazione economica italiana degli ultimi 10 anni ha sicuramente contribuito ad un aggravamento del fenomeno della disoccupazione e di questo più volte si è parlato, letto e riletto, ma pochi hanno considerato che la disoccupazione giovanile presenta dei disequilibri di carattere strutturale. Possiamo affermarlo analizzando alcune serie storiche e confrontandole tra loro. Negli anni, vediamo come nell’andamento dell’economia (prendendo come riferimento il PIL), il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) non sia mai sceso sotto la soglia del 20% e - se proprio vogliamo trovare un possibile “collegamento” -  possiamo osservare come la disoccupazione aumenti in modo significativo in fasi economiche recessive, ma non migliori. Al contrario, si riscontra una significativa “rigidità” in momenti di “ripresa” economica. Tra i diversi fattori che possono incidere sugli elementi strutturali che gravano sulla disoccupazione giovanile, affrontiamo il tema del livello di istruzione. 

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Livello di studio ed occupabilità 

Tra la popolazione (25-64 anni) con un livello di studi medio basso (nessun titolo, diploma elementare, scuola media), solo il 20,5% è occupato mentre, se consideriamo le persone con titolo di studio di scuola secondaria superiore ed oltre, la percentuale passa al 45%.  Spostandosi sul capitolo “disoccupazione” delle fasce giovani, emerge che ci sono oltre 311mila giovani tra i 15 e i 34 anni disoccupati da oltre 2 anni, e di questi solo il 9% è laureato. Il livello di istruzione gioca quindi un ruolo importante - ma ancora non risolutivo - relativamente al periodo di disoccupazione.  Il tempo dedicato allo studio e alla preparazione accademica è l’elemento di base per trovare migliori opportunità di lavoro e proposte remunerative, ma anche per ridurre la probabilità di rimanere disoccupati troppo a lungo.  Questa riflessione evidenzia come abbia senso dedicare risorse e investimenti all’istruzione e alla formazione per ridurre gli alti tassi di disoccupazione del nostro Paese, soprattutto in riferimento a quella giovanile.   

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Una serie di fenomeni congiunti, però, evidenzia come in Italia sia difficile poter migliorare la qualità della formazione. I dati del PISA (Programme for international student assessment) del 2015 evidenziano come i giovani studenti delle scuole italiane abbiano un livello di preparazione (competenze di base) più basso rispetto agli altri Paesi europei. L’Italia rispetto alla rilevazione precedente, perde 2 posizioni passando dal 32° al 34° posto. Inoltre, la spesa in istruzione in rapporto al PIL è tra le più basse in Europa, soprattutto se confrontata con Paesi economicamente equivalenti all’Italia come la Germania o la Francia. Entrambi questi aspetti non hanno contribuito ad un miglioramento della qualità dell’insegnamento e ad incrementare le competenze degli studenti utili all’ingresso nel mondo del lavoro.

Problemi sulla formazione in Italia: il dato della sovra-istruzione

In riferimento alla situazione universitaria, invece, i laureati italiani nelle classi di età tra i 20 e i 64 anni sono pari al 18,7% (dato che nel 2016 si attestava al 17,7%), molto al di sotto della media europea (dati Ocse) del 37%. Considerando la fascia di età tra i 25 e i 34 anni, la percentuale in Italia passa al 26,7% contro una media europea del 43%. Se consideriamo la relazione fra laurea e qualifica professionale, emerge in Italia, più che in altri Paesi, il fenomeno della sovra-istruzione (overqualification rate). Si tratta della quota di laureati occupati in professioni che non richiedono il livello di istruzione conseguito. Nella classe di età tra 20 e 34 anni (circa 1,2 milioni), il 27% (320mila) risulta sovra-istruito. I dati 2017 sui disoccupati indicano che 350mila laureati sono in cerca di occupazione e il 60% (210mila) sono giovani tra i 20 e i 34 anni. Ci sono, inoltre, oltre 1 milione di laureati inattivi, di cui il 57% (597mila) ha una età fra i 20 e i 34 anni.

Il tasso di disoccupazione dei laureati nel 2017 in Italia è del 6,5% contro una media Ue del 4,6% (dato italiano del 2008 pari al 4,6%, europeo del 3,8%). Numeri che fanno pensare che esiste un disequilibrio tra la domanda di lavoro qualificato e la relativa offerta e questo provoca il perdurare di un alto tasso di disoccupazione (14,4%) dei laureati nelle fasce più giovani (20-34), oltre ad una elevata incidenza di sovra-istruzione, specie in determinati ambiti disciplinari (ad esempio i laureati in lingue dove più di 1 giovane su 2 occupa un posto di lavoro non consono con il titolo di studio conseguito).  

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Analizzando i dati sulla quota degli occupati sovra-istruiti da un punto di vista territoriale, non si nota un divario tra Nord e Sud del Paese. Come si potrà notare dalla Figura n. 4, in Sicilia e in Trentino Alto Adige solo il 22,3% degli occupati laureati svolge mansioni che non richiedono un titolo di istruzione elevato. Una quota superiore al 38% rappresenta i ragazzi sovra-istruiti del Molise e della Sardegna, che si adattano a lavori ben al di sotto della formazione acquisita.

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I giovani trovano meno disponibilità a incontrare un lavoro full time

Il numero di occupati prima (2008) e dopo (2017) la crisi è pari a 23 milioni di lavoratori. Tuttavia in questi 10 anni sono mutate profondamente le condizioni di lavoro, in particolare per i giovani. A distanza di 10 anni i giovani occupati tra i 15 e i 34 sono diminuiti di 1,4 milioni di unità. Se analizziamo questa contrazione per carattere dell’occupazione, i giovani diminuiscono di oltre 1,5 milioni di posti a tempo indeterminato e aumentano di 112mila nel tempo determinato.

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Nello stesso periodo preso in considerazione, si è assistito ad un aumento del part time (il 30% in più del 2008), che ha prodotto un incremento della sottoccupazione con la proliferazione di quello che viene definito part time involontario (oltre 2,6 milioni di occupati sono coloro che hanno accettato un contratto di lavoro part time pur cercando un lavoro a tempo pieno). Di questi, 890mila hanno tra i 15 e i 34 anni, in aumento rispetto al 2008 di oltre 359mila unità. In termini percentuali, quindi, i giovani che vorrebbero un lavoro full time e ne trovano solo a tempo parziale sono passati dal 48,3% nel 2008 al 74,8% nel 2017.