Economia

Il guru Usa anti-tasse Norquist: "Meno spesa e dipendenti pubblici"

LA SCHEDAGrover Norquist è il fondatore e presidente di Americans for Tax Reform, un'organizzazione Usa che al grido di “Non aumentare mai le tasse” ha creato un movimento che ha coivolto anche molti candidati presidenti repubblicani e che si oppone agli aumenti fiscali a stelle e strisce, in tutte le sue forme. E' infatti il principale promotore del "Taxpayer Protection Pledge", un impegno formale sottoscritto da tutti quei politici americani che decidono di dire no all'introduzione di nuovi balzelli. E' appena uscito in Italia il suo ultimo libro "End the Irs (Internal revenue service, il fisco Usa, ndr), beforse it ends us".

Il guru Usa anti-tasse Grover Norquist (leggi la scheda),  oggi a Roma per presentare il suo ultimo libro e intervenuto all'incontro "Uno shock fiscale per l'Italia" organizzato dal parlamentare Raffaele Fitto, spiega in un'intervista esclusiva ad Affaritaliani.it il perché e come la riduzione della spesa sia il primo passo per innescare un circolo virtuoso nell'amministrazione statale che consenta alla fine di ridurre le tasse sui cittadini.

L'INTERVISTA

E' possibile attuare in Italia la sua ricetta anti-tasse dell'impegno formale sottoscritto da parte dei politici a non incrementare la pressione fiscale una volta eletti?
"
Sia negli Usa sia in Italia, le tasse sono troppo alte e sono andate nella direzione sbagliata (al rialzo, ndr) per un certo numero di anni. Per abbassare il carico fiscale dovremo ridurre il numero di tasse e, per farlo, dovremo prima abbassare la spesa pubblica complessiva. Con una minore spesa pubblica, un minore numero di persone lavorerà per il settore pubblico e, a quel punto, sarà possibile cambiare come lo Stato spende, per far sì che costi di meno. Solo allora potremo realmente ridurre le tasse. I partiti di centrodestra che hanno successo parlano di riformare lo Stato e ridurre il costo che la gente paga attraverso le tasse". 

La sua ricetta potrebbe funzionare anche in un Paese che fa parte dell'Unione Europea e che quindi deve sottostare alle regole ferree del patto di Stabilità che pone un tetto del 3% al rapporto fra il deficit e il Pil?
"
I partiti di centrodestra italiani hanno una sfida. Quelli di centrodestra europei invece ne anno altre. Certamente, la convergenza verso alcune riforme che tutti questi vogliono può aiutarli entrambi, perché può consentire di dire alla burocrazia e alla (tecno)struttura dell’Unione europea: state spendendo troppo, costate troppo, fate troppi regolamenti non necessari. Inoltre, ci sarà un voto in Gran Bretagna, referendum che potrebbe vedere la prevalenza di chi vuole lasciare l’Unione europea che è una cosa che non si vuole (da parte della Ue, ndr). Se si mettono in campo alcune riforme ragionevoli questo rischio può essere evitato. Questa spinta potrà aiutare i membri del Parlamento europeo di centrodestra a costruire delle riforme che riducano la tassazione e la spesa pubblica".

Come riformerebbe il sistema di aliquote in Italia, cambiamenti in grado di liberare risorse capaci di innescare la crescita economica? 
"La riforma più importante a lungo termine per favorire la crescita del Pil e il benessere della nazione è il ridurre il peso della spesa pubblica, riformando il sistema pensionistico e il pubblico impiego, per far sì che non pesino sulle risorse pubbliche che il Paese ha a disposizione. Solo a quel punto, lo Stato sarà in grado di abbassare le aliquote marginali di imposta. Ciò fornirà così anche degli ottimi argomenti per ridurre un numero di noiose piccole imposte che alla fine non raccolgono molto denaro. Balzelli che fanno molti più danni a un’economia, maggiori del solo ammontare di denaro che le tasse sottraggono all’economia".

Come giudica la flat tax? Funzionerebbe in Italia un'aliquota unica? Se sì, in quale percentuale?
"
Credo che il progetto più importante per quanto riguarda le tasse sul reddito sia quello di ridurne il peso e il numero e vi sono molti modi diversi per farlo, ma se prendiamo il tax rate e lo riduciamo, aumentiamo l’incentivo a lavorare, risparmiare e investire e diminuiamo l’incentivo a spendere e non lavorare, perché il non lavorare è più costoso se le tasse sono basse".

In Italia, la spesa pubblica vale circa 800 miliardi di euro, la metà del Pil. E' possibile tagliarne parti considerevoli generando risparmi importanti? Se sì, aggredendo quali capitoli di spesa?
"Parlando degli Stati Uniti, il governo federale spende il 20% del Pil americano, gli Stati locali un altro 10%. Molto va nel settore Difesa, abbiamo una spesa militare molto superiore percentualmente a quella italiana o degli altri Paesi europei. Possiamo ridurre la spesa per “attrito”, ossia assumendo meno persone di quante vanno in pensione, ad esempio il progetto di bilancio repubblicano per gli Stati Uniti prevede un taglio della spesa del 10% in questo modo, c’è un disegno di legge repubblicana che prevede la riduzione degli impiegati civili della Difesa di cento mila unità nei prossimi 5 anni. Poi un altro cambiamento (da fare) è quando lo Stato assume, acquista e fa cose e stabilisce limiti e regolamenti che aumentano i costi in misura significativa. Quando il governo negli Stati Uniti costruisce edifici costano il 25% più di quanto costi al settore privato costruirli, perché ci sono più limiti da osservare. Così abbattere limiti e regolamenti può ridurre la spesa: anche se pensate che il governo debba continuare a costruire edifici, può costruirli in un modo meno costoso, per fare un esempio.

Quali Paesi sono stati in grado realmente di ridurre le tasse, innescando uno shock fiscale? Quali sono le best practice? La Gran Bretagna di David Cameron può essere un buon esempio...
"Credo che ogni Paese che possiamo considerare dal punto di vista della riduzione delle tasse ha fatto meglio di altri nel migliorare la situazione dei cittadini. La Svezia, per esempio, ha azzerato le tasse sugli utili societari e quelle sul debito e ha reso, poi, più semplice la scelta della scuola per i contribuenti, senza però abbassare l'aliquota più alta. Dunque alcune cose sono andate molto bene, altre molto meno. Negli Stati Uniti, invece, abbiamo molte leggi costose, un sistema medico pesante, ma in alcune cose siamo riusciti a lavorare meglio degli inglesi e a generare più risparmi di spesa. La Gran Bretagna, dal canto suo, ha fatto invece un buon lavoro con le privatizzazioni come quelle introdotte nel settore aeroportuale, nelle infrastrutture e nell'acciaio. Ma non c'è un solo modello vincente, fatto di basse tasse e di libero commercio. La buona notizia è che nessun Paese ha un tale vantaggio sugli altri e ogni Stato che voglia migliorare può apprendere dagli altri Paesi le pratiche che in singoli settori hanno generato degli ottimi risultati. In sostanza, non esiste un modello unico perfetto, di ogni Paese bisogna saper selezionare ciò che ha funzionato ed evitare di ripetere gli stessi errori di quello che al contrario non ha funzionato".

Dopo l'ultimo stop del Congresso Usa sul mandato al presidente Obama, crede che le trattative sul Ttip siano finite su un binario morto?
"No, perché un accordo sul libero commercio porta alla fine in dote per i Paesi che lo sottoscrivono una riduzione fiscale di cui beneficiano i consumatori. Cosa che è nell'interesse sia degli Stati Uniti sia dell'Europa, e del mondo intero considerato che riguarda due importanti attori internazionali".