Economia
Intesa Sanpaolo, il mercato promuove i conti dei nove mesi
Il nuovo modello di business focalizzato sul wealth management funziona, ma anche le attività bancarie tradizionali stanno migliorando i propri risultati
Seduta positiva per Intesa Sanpaolo che a Piazza Affari inverte la rotta dopo un avvio in ulteriore modesto calo e torna nel pomeriggio a guadagnare un 2% (pur restando di un 28% abbondante in rosso rispetto a 12 mesi or sono), dopo la comunicazione dei risultati del terzo trimestre, giudicati favorevolmente dagli investitori. Nel terzo trimestre, in particolare, la banca guidata da Carlo Messina ha registrato un utile netto di 833 milioni, contro i 650 milioni dello stesso periodo del 2017. Il dato appare in calo dai 927 milioni del trimestre precedente ma si dimostra superiore alle attese del mercato (il consensus parlava di 785 milioni di utile).
A dare una mano è stato anche il nuovo modello di business della banca, sempre più focalizzato attorno alle redditizie attività di wealth management. Peraltro le commissioni nel terzo trimestre dell’anno mostrano una frenata del 3,4% rispetto ai precedenti tre mesi a 1,924 miliardi, risentendo dell’aumentata incertezza sui mercati. Il minore apporto delle commissioni è tuttavia in parte bilanciato dalla crescita degli interessi netti a 1,844 miliardi (+0,3%).
Sui nove mesi l’utile netto si attesta a 3,012 miliardi, ovvero a 3,4 miliardi considerando la plusvalenza netta attesa dalla partnership con Intrum Justitia che sarà contabilizzata entro l’anno, mentre i proventi operativi (in calo del 7,3% a 4,269 miliardi negli ultimi tre mesi rispetto al precedente trimestre) salgono del 4,3% su base annua, a fronte di un calo del 3,2% dei costi operativi.
Positivo anche il dato delle rettifiche nette su crediti, in calo del 18,5% su base annua nei nove mesi, con un rapporto tra crediti deteriorati e crediti totali sceso al 9,2% lordo (al 4,5% netto), a testimonianza di come la crisi del credito sia ormai in buona parte alle spalle. Proprio sul fronte della solidità patrimoniale sono poi giunti ulteriori segnali confortanti: il core capital ratio “fully phased” è risultato pari a fine settembre al 13,7%, contro il 13,6% di fine giugno.
Questo nonostante l’handicap dovuto all’incremento del rischio Italia e al conseguente allargamento dello spread Btp-Bund, un “caro spread”, ha sottolineato Messina, che ha avuto comunque un impatto negativo a causa dei Btp in portafoglio (28,132 miliardi a fine settembre, con una duration media di 4,8 anni, valori di poco inferiori a quelli segnati a fine giugno) ed ha pesato per 45 punti base sul Cet1.
Alla fine, Messina è soddisfatto e sottolinea: i risultati confermano che Intesa Sanpaolo è in grado di centrare tutti gli obiettivi del piano industriale, nonostante uno scenario più complesso di quanto originariamente previsto, in particolare la distribuzione di un dividendo in contanti pari all’85% dell’utile netto (sul bilancio 2017 era stata distribuita una cedola di 20,3 centesimi per azione, equivalente ad un rendimento del 7,8% rispetto al prezzo del titolo in borsa), utile netto che l’istituto si attende a fine anno superiore a 3,8 miliardi, grazie ai 3,4 miliardi di plusvalenza netta legata alla sopra ricordata partnership con Intrum Justitia.
Sempre Messina ha anche ricordato come in tre anni l’istituto sia stato in grado di ridurre di 26 miliardi di euro le sofferenze in portafoglio (Npl), di cui 13,7 miliardi solo da inizio anno, “senza pesare sui soci” (a differenza di concorrenti come Unicredit o Mps che hanno dovuto lanciare ricapitalizzazioni per portare avanti la propria pulizia di bilancio, ndr). L’istituto ha inoltre in corso un re-pricing del portafoglio di prestiti commerciali (“loan book”), i cui effetti positivi in termini di redditività si vedranno, ha anticipato Messina, nei prossimi trimestri.
Insomma: nell’attesa di vedere se Intesa Sanpaolo riuscirà a trovare la preda giusta per crescere di peso nel wealth management e così accentuare ulteriormente la sua “vocazione” in tale ambito, il lavoro di Messina e del management prosegue incessante anche nelle attività bancarie “tradizionali”, per riuscire a limare i costi e ad aumentare fatturato e margini, così da confermarsi ai vertici delle banche europee per efficienza, con un cost/income già ora calato al 50,5%.
Che Intesa Sanpaolo sia risultato il “chiaro vincitore” dell’ultima tornata di stress test Eba non deve dunque stupire nessuno, come pure il fatto che nonostante la frenata creditizia avvenuta in questi ultimi mesi a livello di sistema nazionale la banca guidata da Messina sia stata in grado di primi erogare a medio e lungo termine a famiglie e imprese 36,6 miliardi di euro, riportando contemporaneamente “in bonis” circa 13 mila imprese (circa 86 mila dal 2014), salvando così circa 40 mila posti di lavoro (circa 430 mila dal 2014).
Dati, questi ultimi, che dovrebbero smentire il luogo comune delle banche che “spremono” il sistema economico italiano e che avrebbero calamitato aiuti che parte dell’elettorato italiano avrebbe voluto finissero in tasca ai risparmiatori “vittime” di banche in crisi o direttamente alle imprese in crisi. “Per Intesa Sanpaolo il concetto della creazione di valore va interpretato in una chiave ampia: essere una banca tra le più solide e profittevoli in Europa significa essere il motore dell’economia per il sociale del nostro paese con un grande progetto per l’inclusione economica e per la lotta alla povertà” ha concluso Messina. Chissà se al vicepremier Luigi Di Maio, sostenitore della lotta alla povertà a colpi di decreti, saranno fischiate le orecchie.