Economia

L'oro? Non è più un bene rifugio. Quotazione oro ai minimi da 5 anni. Ecco perché

di Andrea Deugeni
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@andreadeugeni

Gi oggetti d'oro? Saranno pure vintage (il cui valore cioè trae le sue origini da una produzione del manufatto che risale ad almeno vent'anni prima), ma a giudicare da quello che sta accadendo sul mercato delle commodity anche i più bei gioielli artigianali fatti col metallo giallo, che fino a solo 5 anni fa in piena crisi del debito potevano contare su un super-prezzo della materia prima che viaggiava ampiamente sopra quota 1.900 dollari l'oncia, ora rischiano invece di svalutarsi parecchio. Almeno del 40%, visto che stamane il fixing dell'oro a Londra ha continuato la sua incessante corsa verso il basso: 1083,75 dollari l'oncia, in calo sulla rilevazione di ieri mattina a 1097,4 dollari. Una diminuzione, appunto, di oltre il 40% rispetto alle quotazioni dell'ormai lontano marzo 2010.

Che sta succedendo? Potrebbe apparire un paradosso per il bene rifugio per eccellenza gettonato da tutti gli investitori in fasi di instabilità delle economie e dei mercati, bene rifugio che così rischia di perdere la sua qualità di oggetto salva-risparmi guadagnata in secoli di storia. Un autentico paradosso perché, tragedia greca a parte e bolla azionaria in Cina in via di sgonfiamento, la crisi del debito in Europa cova ancora strutturalmente sotto le ceneri dell'austerità cosparse ad Atene da Bruxelles, Venezuela, Portorico, Ucraina e Argentina sono sull'orlo del default finanziario o dell'iperfinflazione e l'incertezza geopolitica (fra Kiev e Mosca, poi Siria, Egitto, Libia, Tunisia, Yemen e Turchia solo per ricordare alcuni focolai che rischiano di divampare) è alle stelle. Eppure, l'incurante oro non accenna ad invertire il suo rally verso il basso (-74,% da inizio anno).

Gli analisti finanziari spiegano il fenomeno tirando in ballo una combinazione di eventi. Il primo, quello più strutturale, è l'attesa degli operatori per un dollaro forte, aspettativa legata alle mosse della Federal Reserve che si appresta ad alzare il costo del denaro per la prima volta dal lontano 2006. Una decisione di politica monetaria con conseguenze sul valutario che alimenta giocoforza un clima di generale debolezza sul mercato delle commodity (prezzate con il biglietto verde): comprare beni che trattano in dollari, cioè, sarà sempre meno conveniente nei prossimi mesi. In più, mantenendo sempre il focus sulle condizioni di fondo del comparto dell'oro, le proiezioni geologiche estrattive indicano che il 2014 e il 2015 dovrebbero essere gli anni del picco estrattivo. Produzione che finisce per rimpinguare l'offerta di mercato e spingere verso il basso il prezzo della materia prima.

Il secondo fattore che ha poi fortemente depresso le quotazioni del metallo giallo in poche sedute (tra volumi di vendite altissimi) è stata la comunicazione, nei giorni scorsi, da parte della Banca centrale cinese di possedere nei propri caveau solo 1.658 tonnellate di oro. Un numero che a prima vista può significare poco, ma che se si pensa che fino a poche settimane fa, fra gli addetti ai lavori circolava l'ipotesi che Pechino detenesse riserve in lingotti per almeno 2.500-3.000 tonnellate (per puntellare la sua ambizione di far diventare in un non lontano futuro la sua moneta come alternativa al dollaro), allora si capisce la doccia fredda piombata sui mercati rimasti ancorati all'ultimo dato ufficiale che risale del 2009 (1.050 tonnellate pari a 53,3 milioni di once). Un numero che, al contrario, si supponeva fortemente cresciuto a botte di 400-500 tonnellate all'anno (invece delle sole 100 effettive). Per far capire quello che è successo, basta riportare che Reuters, subito dopo che la People's Bank of China ha alzato il velo sulla consistenza delle sue riserve, ha tracciato allo Shangai Gold Exchange ben 3 milioni di lotti scambiati contro i 30 mila della media di luglio.

Ora, mentre sempre più analisti credono che il metallo giallo non invertirà presto la sua corsa, l'attività speculativa ribassista galoppa la fase Orso dell'oro. Gli agenti della Federal Reserve, le bullion bank e gli hedge fund hanno spinto l'acceleratore sulle vendite, smontando le loro posizioni e scommettendo su ulteriori ribassi. Spdr Glod Trust, il fondo d'investimento principale specializzato in oro, ha praticamente dimezzato le proprie riserve, dal picco del 2012. Insomma, non siamo di fronte a un semplice temporale estivo: la tempesta dell'oro è lontana dal placarsi.