Economia
Mps, non è finita per Siena. I rischi del nuovo piano e i crediti deteriorati
I dubbi sul fatto che per il Montepaschi sia stata davvero scritta l'ultima parola non mancano. Ecco quali sono
Segnali importanti, nonostante la bocciatura dell'Eba, dal secondo trimestre di Mps, che sembrano le premesse perché l’operazione di deconsolidamento dell’intero portafoglio sofferenze e la parallela ricapitalizzazione “monstre” da 5 miliardi di euro (5 volte l’attuale capitalizzazione di borsa) possa aver successo. Anche se, inevitabilmente, non tutti i rischi sembrano scongiurati al momento. Ma andiamo con ordine: il trimestre appena concluso ha visto rettifiche su crediti per ulteriori 718 milioni di euro, in calo del 27% su base annua “per il rallentamento dei flussi di credito deteriorato e la cura del default che si mantiene su livelli elevati”. In più, precisa Mps, la crescita delle rettifiche su crediti registrata trimestre su trimestre (+7,7%) è da ricondurre “all’effetto dell’incremento delle coperture sulla componente deteriorata”, che è sì calata in media al 48% dal 49% di tre mesi prima, ma risente del write-off parziale degli interessi moratori (1,4 miliardi di euro) e della cessione del portafoglio di crediti deteriorati ex Consum.it (0,3 miliardi di euro). Al netto di tali effetti le coperture medie dei crediti deteriorati si attesterebbero al 49,6%.
Nel complesso l’esposizione dei crediti deteriorati lordi del gruppo Mps al 30 giugno 2016 risultata pari a 45,3 miliardi di euro, 1,9 miliardi meno di tre mesi prima dovuto oltre che al write off e alla cessione summenzionata alle “positive dinamiche della gestione del deteriorato” per altri 0,2 miliardi di euro. Gestione che ha portato alla riduzione degli ingressi da crediti “in bonis” a deteriorati, il mantenimento su livelli elevati della cura del default e la crescita degli incassi sui crediti in sofferenza al netto delle cessioni. Sempre al 30 giugno 2016 i crediti verso la clientela del gruppo erano pari a 107,5 miliardi, in calo di circa 3,8 miliardi rispetto al 31 dicembre 2015 e di 6 miliardi di euro sul 31 marzo 2016 in particolare per il calo dei pronti contro termine con controparti di mercato per oltre 4 miliardi e per una contrazione della quota commerciale (circa -1,7 miliardi) all’interno della quale “prosegue il trend di riduzione dei crediti deteriorati netti”, che nel trimestre si sono contratti di circa 504 milioni di euro.
A fronte di questo scenario, l’operazione annunciata è davvero strutturale e definitiva? Il deconsolidamento tramite cessione ad un veicolo di cartolarizzazione (Sec.Co) dell’intero portafoglio di crediti in sofferenza, pari a 27,7 miliardi di euro lordi, ovvero 10,2 miliardi di euro netti) al prezzo di 9,2 miliardi (ossia al 33% di valore di libro, ben oltre il 20% mediamente attribuito finora dal mercato a questi asset, e dunque con una minusvalenza di “solo” un miliardo) di cui 6 miliardi riferiti alla tranche senior, la successiva assegnazione di tranche equity junior da 1,6 miliardi agli azionisti Mps (tra cui il Tesoro col 4%, Axa col 3,17%, Fintech Advisory col 4,5% e la famiglia Falciai con l’1,8%) e la sottoscrizione di una tranche “mezzanine” per altri 1,6 miliardi da parte di Quaestio Sgr per conto del fondo Atlante (non si ancora se 1 o 2) è certamente un’operazione imponente e in grado di imprimere una svolta a Mps. Ma i dubbi non mancano: anzitutto gli accordi di undewriting dell’aumento di capitale prevedono come precondizione il deconsolidamento delle sofferenze e il buon andamento dell’attività di marketing dell’aumento medesimo.
(Segue...)