Economia

Npl, serve il grande condono bancario

In questi mesi si dibatte molto sulle sofferenze nei crediti erogati dalle banche (NPL). Gli NPL sono diventati un problema irrisolvibile, una zavorra che sta trascinando sempre più a fondo le banche italiane. Ammontano a circa 360 miliardi di euro. Di questi, 200 miliardi sono sofferenze, che, svalutazione dopo svalutazione, sono iscritte nei bilanci delle banche per circa 56 miliardi, poco più di un quarto del loro valore nominale.Ma i fondi speculativi internazionali sono disposti a comprare i 200 miliardi di sofferenze a 22 miliardi circa, poco più del 10 % del valore lordo dei crediti. Vendendo ai fondi avvoltoio ci sarebbero perdite tra i 20 e 30 miliardi, con la conseguente necessità di ricapitalizzazioni di pari importo. Da questo dato di fondo nascono la proposta dei GACS, la nascita del fondo Atlante, e tutte le recenti polemiche sugli NPL.

E’ evidente che il sistema sta collassando con invitabili perdite per tutti, imprese, famiglie, banche. Recentemente, l’avvocato Dino Crivellari, un grande esperto del settore, per molti anni Amministratore Delegato di UniCredit Credit Management Bank, la più importante banca italiana specializzata nel recupero crediti, ha lanciato una “provocazione intelligente”: i fondi speculativi internazionali potrebbero transare a 56 miliardi con i debitori queste sofferenze, acquistate per 20/30 miliardi, guadagnando somme enormi (più di una manovra finanziaria) a spese del sistema Italia (banche, imprese, famiglie, fisco). Se le banche recuperassero dalle sofferenze i circa 56 miliardi che hanno a bilancio non avrebbero perdite ulteriori, non dovrebbero ricapitalizzare. La proposta è quindi molto semplice concettualmente: in alternativa alla cessione degli NPL ai fondi speculativi, si sostiene sia molto più conveniente per le banche quello che Crivellari provocatoriamente definisce “condono bancario”. Il “condono bancario” risolverebbe il “principale problema del nostro Paese: l’incapacità delle banche di fungere da propulsore dell’economia e della sua ripresa dovuta al macigno delle sofferenze.

Ma perché bisogna “salvare” le banche? E da che cosa? Bisogna rimettere le banche in condizione di funzionare cioè di tornare a fare credito alle imprese, anche perché “nella maggior parte dei casi i debitori insolventi non sono mancati pagatori volontari ma imprese o” privati cittadini che “non ce la fanno” perché la crisi ha sconvolto la nostra economia da quasi un decennio Nell’ipotesi fatta, ammesso che tutti i debitori possano far fronte al loro debito nella misura ridotta già riflessa nei bilanci delle banche post accantonamenti, il sistema avrebbe degli enormi benefici”:

- le banche azzererebbero le sofferenze, diminuirebbe il bisogno di aumenti di capitale;

- i corsi azionari delle banche migliorerebbero con benefici diffusi anche perché, senza le maggiori perdite da cessione, le banche non dovrebbero aumentare gli accantonamenti sui crediti in bonis;

- alcuni milioni di imprese e cittadini, alleviati dall’ossessione dei debiti bancari che non possono più pagare, potrebbero tornare a vedere il futuro con ottimismo, a far ripartire le loro aziende, ad aumentare i loro consumi ecc. Tutto a beneficio del PIL e della ripresa;

- si chiuderebbero decine di migliaia di contenziosi, dando respiro al nostro sistema giudiziario in affanno.

La proposta non è passata inosservata: un gruppo di amici, attivi nel mondo delle professioni, delle associazioni datoriali, delle Fondazioni ed Associazioni che combattono l’usura criminale e l’usura bancaria aveva promosso il Convegno alla Camera dei Deputati il 25 luglio 2016, proprio a partire dalla stessa idea di fondo espressa da Crivellari: dall’attuale impasse - credit crunch, difficoltà di crescita economica, crisi bancaria - si esce soltanto con una normalizzazione, nell’interesse di tutto il sistema, dei rapporti fra banche e consumatori. E’ necessaria la consapevolezza che il 2008 e poi, per l’Italia, il 2011 hanno segnato un momento di rottura epocale, occorre quindi dare un segnale forte ed agire per la discontinuità, come seppe fare Roosevelt con le leggi bancarie del New Deal, oppure, su di un altro piano, Mandela in Sudafrica con la Commissione Tutu.

Per questa ragione, è stato proposto un New Deal, un nuovo patto, tra banche e consumatori in Italia. Abbiamo intervistato, a questo proposito, due giovani professionisti molto impegnati sul fronte della difesa di famiglie e imprese contro l’usura criminale e l’usura bancaria: gli Avvocati Monica Pagano e Danilo Griffo del Foro di Brescia. Avvocato Pagano, che caratteristiche deve avere questo New Deal che proponete?: Deve essere attento alle fasce sociali più disagiate. Non a caso il nostro Codice Civile e la nostra Costituzione sono improntati al Favor Debitoris. Per questo è importante ragionare sulla divisione in fasce 2 sociali dei debitori, valutando l’impatto che la proposta avrebbe su questa stratificazione.

I dati Bankitalia, da noi rielaborati, ci dicono che il 4,7% dei debitori, quelli con oltre 500.000,00 euro di debito procapite, hanno il 70,4% del debito, le famiglie e piccole imprese famigliari, l’82% dei debitori, hanno soltanto l’11,6% del debito. Solo su questi dati si può ipotizzare la possibilità di riuscita del condono bancario, o come noi preferiamo dire, del New Deal fra banche e consumatori. Dalla nostra esperienza professionale è ragionevole dire che i grandi debitori già oggi transano fra il 40 ed il 50% del debito. Una soluzione generalizzata faciliterebbe questa tendenza già in atto. Le piccole imprese, con debito tra 125.000,00 e 500.000,00 euro (che sono il 13,5% dei debitori ed hanno in carico il 18% del debito) già oggi, quando gli uffici legali delle banche li prendono in considerazione, possono transare intorno al 30%. Da un condono allargato in queste due fasce, il 18% dei debitori che detiene il 90% del debito, le banche potrebbero incassare somme vicine ai 56 miliardi indicati dall’avvocato Crivellari.

Avvocato Griffo, la sua collega non ha parlato delle famiglie e delle microimprese in difficoltà, 1 milione e mezzo di posizioni, quindi fra componenti della famiglia, dipendenti, ecc. 7 o 8 milioni di persone. Cosa proponete per questa fascia? Riteniamo che, se diminuisse fortemente l’impatto sui bilanci e sui valori delle banche degli NPL, sarebbe possibile affrontare in modo socialmente attento la situazione delle famiglie e delle microimprese in difficoltà. Questi milioni di persone, con la cessione dei crediti ai fondi speculativi, sarebbero avviate al massacro sociale. Già ora è in atto l’espropriazione di centinaia di migliaia di prime case, la cessione ai fondi speculativi aumenterebbe esponenzialmente questi espropri. Sarebbe anzi possibile adottare, per le fasce deboli dei debitori, soluzioni simili a quelle adottate in altri paesi. Ad esempio in Spagna le famiglie in difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo possono proporre un piano di ristrutturazione del debito fatto per l’acquisto della prima casa. Il periodo di rimborso può essere allungato fino a quaranta anni. Se l’importo annuo delle rate del mutuo non si abbassa al di sotto del 60 per cento del reddito familiare, può essere chiesta una riduzione della parte capitale del debito. Nelle soluzioni estreme il cliente può saldare le sue pendenze con la banca cedendo l’abitazione, ma questo comporta la cancellazione totale del debito garantito e di ogni altra pretesa. Per queste considerazioni noi aggiungiamo, come irrinunciabili, altre 3 ipotesi di lavoro.

1. La soluzione deve essere tombale, coloro che aderiscono al New Deal e così chiudono i loro debiti, devono essere cancellati dalla Centrale Rischi Banca d’Italia, dalla Criff e da ogni altra centrale dati, riacquistando così dignità creditizia Per questa via si darebbe al mercato del lavoro nero ed all’economia sommersa un colpo più forte che mille leggi e denunce.

2. la legge 231 deve essere estesa ai reati di usura, come auspicava già anni fa la Commissione, poi affossata, presieduta dall’attuale Procuratore Generale di Milano, Francesco Greco.

3. Dopo che il “condono” le ha salvate dal disastro devono essere imposte anche alle banche regole molto severe. I contratti devono essere scritti nel rispetto della legge 108/96. Un solo esempio: per i mutui ed i leasing occorre che i contratti si adeguino a quelli della stragrande maggioranza delle Banche Europee (ed anche di alcune Banche Italiane). In particolare è necessario che, in caso di mora, il tasso si sostituisca nella rata al tasso corrispettivo e non si applichi invece su tutta la rata.