Economia

Pensione anticipata? Può bastare anche Quota 94

Dal Decreto Legge n. 9, in particolare dall'articolo 22, si evince che per andare in pensione anticipata per decine di migliaia di persone può bastare Quota 94

di Piero Righetti

 

Il decreto legge n. 9 del 28 gennaio 2019, in vigore dal 29 gennaio u.s., è da tutti conosciuto come il Decretone reddito di cittadinanza e pensioni a quota 100 perché – oltre a disporre un sussidio mensile di portata più generale di quello previsto dal REI, definito una “misura di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale” – introduce nuove e più favorevoli “modalità di pensionamento anticipato”. Per la sua completa attuazione il Decreto n. 9 tuttavia – oltre ad essere convertito in legge da Camera e Senato entro 60 giorni – dovrà essere completato con l’emanazione di una serie di decreti ministeriali, alcuni anche di difficile e complessa predisposizione (attualmente ne servirebbero già 24).

In realtà, tenendo conto di quanto stabilisce l’art. 22 del decreto stesso, per decine di migliaia di persone che lavorano in settori vasti ed importanti (come banche, assicurazioni, trasporto aereo marittimo e terrestre, poste, artigianato, il territorio delle province autonome di Trento e Bolzano, ecc.) esiste la possibilità di andare in prepensionamento non solo a quota 100 ma anche a quota 94. L’art. 22 infatti stabilisce, ai commi 1 e 2, che i Fondi di solidarietà bilaterali di settore – che attualmente sono 14, più un 15° in via di definitiva istituzione (il Fondo TRIS che riguarda il settore chimico e farmaceutico), oltre al Fondo di integrazione salariale che è plurisettoriale – possono erogare un sostegno straordinario per il sostegno al reddito (un vero e proprio pensionamento anticipato) a lavoratori che raggiungano “quota 100 nei successivi tre anni”, e cioè entro il 31 dicembre 2021.

Quindi per tutte queste persone si può parlare concretamente di una pensione già a quota 94 e non solo a quota 100, e cioè di un requisito di 59 anni di età e 35 di contribuzione al 31.12.2018, anziché di 62 e 38.

Questa a mio avviso è la più rilevante modifica, la più violenta spallata alla Riforma Fornero: in pensione a 59 anni di età anziché a 67, e cioè 8 anni prima.

E tutto questo – che a mio avviso è la più importante e innovativa caratteristica di prospettiva del nostro ordinamento pensionistico – senza alcun onere per il Bilancio dello Stato e con una validissima misura di contrasto alla disoccupazione giovanile!

L’art. 22 in parola dispone infatti che il “costo” dei 3 anni in più di pensionamento anticipato sia a totale carico dei Fondi di solidarietà bilaterali e quindi dei datori di lavoro (singoli o aziende) che si sono iscritti ad uno di questi Fondi.

Questo prepensionamento accelerato è subordinato comunque ad uno specifico accordo delle aziende, che intendano riorganizzare, snellire e/o ringiovanire il proprio organigramma, con le organizzazioni sindacali aziendali o territoriali maggiormente rappresentative e sempre che nell’accordo ci sia l’obbligo di sostituire, totalmente o parzialmente, i pensionandi con lavoratori più giovani, disoccupati o inoccupati o alla ricerca di un nuovo o diverso lavoro.

Un ricambio generazionale obbligatorio, quindi, frutto di un accordo tra le parti sociali, quello previsto dall’art. 22 del D.L. 9/2019 che potrebbe rivelarsi come una delle prime, concrete ed efficaci misure di politica attiva del lavoro.

Vediamo cosa succederà, anche se è facile ipotizzare che questi accordi potranno essere raggiunti più facilmente soltanto in aziende di medie o grandi dimensioni che abbiano prospettive di crescita o di rilancio.

Ne è prova quanto sembra stia già accadendo, almeno a livello di intese preliminari, nelle Poste e in alcune aziende del credito, ordinario e cooperativo.