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Economia
Pil un idolo da abbandonare: inganno lungo 50 anni da Fuà al M5S

Potrebbe forse esser la volta buona che dopo 60 anni, "l'idolo da abbandonare", il Pil, "un indicatore grossolano [...] ed un elemento non essenziale del benessere [...] che è composto di soddisfazioni nel lavoro, di sicurezza di muoversi liberamente, di serenità", sia - come auspicava nel suo 'libretto' del 1993 'Crescita economica. Le insidie delle cifre', l'economista Giorgio Fuà - riveduto e cambiato radicalmente.

L'occasione d'oro è la presentazione - domani alla libreria Ibs di Roma - del libro, per 'L'Asino d'oro edizioni', dell'economista Lorenzo Fioramonti, 'Presi per il Pil', in cui l'autore, indicato dal M5S come ipotetico ministro per lo Sviluppo Economico, denuncia la 'dittatura' del Pil, "una misura anacronistica e fuorviante" rispetto a fattori decisivi e ben più attinenti il benessere delle persone: diseguaglianze sociali, qualità della vita, ambiente.

A discutere con l'economista, uno dei 'cervelli in fuga' divenuto ordinario di politica economica all'Università di Pretoria in Sudafrica, il possibile Ministro del Lavoro, Pasquale Tridico, docente di Economia politica all'Università Roma Tre, fautore del 'reddito di nascita' o 'di cittadinanza', ma soprattutto della "riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario"; l'economista e ricercatore Andrea Ventura, autore del best seller 'Il flagello del neoliberismo. Alla ricerca di una nuova socialità', edito da 'L'Asino d'oro' edizioni e la docente di Statistica sociale alla Sapienza di Roma, Filomena Maggino.

Sosteneva Fuà, stretto collaboratore di Adriano Olivetti e di Enrico Mattei: "[...] dobbiamo smettere di privilegiare il tradizionale tema della quantità di merce prodotta e dedicare maggiore attenzione ad altri temi, che non possono più essere considerati secondari dal punto di vista del benessere collettivo".

I nuovi valori, secondo Fuà, che elaborò con Giorgio Ruffolo, Paolo Sylos Labini, Federico Caffè, Pasquale Saraceno, l'originale idea della 'programmazione economica' dell'allora ministro dell'Economia, Antonio Giolitti, che andavano presi in considerazione per poter definire 'il livello di benessere' delle persone erano: la cultura, l’ambiente, il paesaggio, la soddisfazione sul lavoro, la formazione del capitale umano.

"[...] Che senso ha rallegrarsi di una crescita del prodotto se poi si scopre che è aumentato l'inquinamento ed è diventato pericoloso passeggiare per strada? In casi come questi il nostro benessere peggiora. Lo stesso discorso - precisava Fuà - vale per l'inflazione che tiene conto di quanto paghiamo per le merci, ma non, per esempio, della qualità della vita".

Idea originalissima che fu espulsa dalla cultura della sinistra, egemonizzata dal Pci, per essere sacrificata sull'altare della produzione e del consumo di beni 'affluenti', non durevoli e ad alto profitto, rispetto a 'beni durevoli e a forte utilità sociale': non passò la proposta di Riccardo Lombardi, "vogliamo non meno benessere ma più benessere e non meno consumi ma più consumi, però qualitativamente diversi".

Dagli anni Sessanta al Duemila. L'Ocse, a più riprese, ha redatto il rapporto sulla qualità della vita e sul benessere delle persone nei 35 paesi più industrializzati: 'How's life? Measuring well being', evidenziando che le statistiche alla base delle politiche pubbliche sono da rivedere perchè devono riflettere le condizioni di vita materiali delle persone, la qualità della loro vita e indicare come la vita muta nel tempo.

Ed è in questo filone di ricerca che l'economista Fioramonti affonda le sue approfondite analisi: "siamo circondati da statistiche sulla crescita economica. Quando sal­gono, tutti a celebrare. Quando scendono, si scatena il panico. Un numero, in particolare, detta legge nelle società contemporanee: il Prodotto interno lordo (Pil). I governi si inchinano ai suoi dettami, incentivando consumi a ogni costo, pure quando ciò significa la di­struzione dell'ambiente e l'aumento delle diseguaglianze. I media lo osannano come l'indicatore principe del benessere di una nazione".

Ebbene, cos'è davvero il Pil? Chi ci guadagna quando cresce e chi ci rimette? Fioramonti svela nel suo libro tutti i segreti del 'numero più potente del mondo'. E quei segreti che molti economisti e politici nascondono al grande pubblico, vengono svelati, mediante una  narrativa chiara, insieme alle falle, omissioni e conseguenze politiche di 'un modello di crescita' che sta distruggendo il mondo.

Insieme allo svelamento del Pil e per approdare all'utopica 'Repubblica del benessere', illustrata da Fioramonti sul Guardian, dove sia garantito che norme, principi, accordi internazionali favoriscano il benessere umano ed ecosistemico, le opzioni di Tridico sul 'diritto di nascita' o di cittadinanza e sulla 'riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario' per assicurare, da una parte, il minimo necessario a tutti per la sopravvivenza e, per l'altro, la possibilità di un lavoro dignitoso.

E' un nuovo cocktail che vale la pena di 'assaporare' perchè nasce sulle macerie di un sistema - 'Il flagello del neoliberismo' come lo definisce Ventura - ormai decrepito - le democrazie rappresentative - che per un quarto di secolo ha dominato e condizionato la vita di milioni e milioni di persone umane, rendendole sempre più povere, alienate e simili a merci e prodotti obsoleti e non durevoli, ma solo funzionali alla continuità di consumi affluenti, sfrenati e ad alto profitto.  

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