UniCredit e Intesa: Npl, bancari e business, le versioni di Mustier e Messina
Le strategie seguite da UniCredit e Intesa restano molto diverse, ma alla fine i target restano simili. E la Borsa premia le due banche in maniera uguale
Gemelli diversi, con problemi simili ma ai quali hanno pensato di dare soluzioni differenti. Unicredit e Intesa Sanpaolo sono i due campioni del comparto bancario italiano, ma fin dai loro capi-azienda, il francese Jean-Pierre Mustier nel primo caso, l’italiano Carlo Messina nel secondo, appaiono molto diversi tra loro, anche se fondamentalmente propongono un menù molto simile alla propria clientela (servizi di banca commerciale e assieme servizi di risparmio gestito, private banking, corporate banking, intermediazione e consulenza per operazioni di finanza straordinaria).
Le ultime operazioni lo confermano: dopo aver ceduto alcuni “gioielli della corona” come Banca Pekao e Pioneer e aver aumentato il capitale di 13 miliardi a inizio anno per poter procedere ad una radicale pulizia di bilancio con la cessione di 17,7 miliardi di Npl (crediti deteriorati), Unicredit pare voler proseguire nella dismissione di asset “non core” e si preparerebbe a fare cassa cedendo cedere il Pavilion di Piazza Gae Aulenti, a Milano, per una cifra tra 40 e 50 milioni di euro (tra i possibili pretendenti si parla di Coima Res, la società immobiliare di fondata da Manfredi Catella che ha da poco inaugurato la propria nuova sede proprio a pochi passi dal Pavilion).
Al contrario Intesa Sanpaolo, che non ha dovuto ricorrere ad aumenti di capitale e i suoi Npl preferisce per quanto possibile gestirli in casa, mettendo di volta in volta sul mercato portafogli da 1-1,5 miliardi. Così facendo Messina a fine settembre si trovava in pancia ancora 27 miliardi di Npl (su 390,8 miliardi di crediti totali), Mustier era sceso a 22,3 miliardi (su 450,5 miliardi totali).
In compenso Messina ha appena siglato un accordo sindacale relativo a 9 mila esuberi “volontari” da qui al giugno 2020, mentre Mustier si è “accontentato” di concordare coi sindacti 3.900 esuberi fino al 2024. Messina, poi, starebbe preparandosi a varare una fusione tra Eurizon Capital e Fideuram Sgr, cui potrebbe seguire la più volte ventilata, ma mai realizzata, quotazione di una quota di minoranza di Fideuram.
Il gruppo ha del resto più volte ribadito di voler fare leva sulle attività di wealth management e di private banking (non escludendo anche eventuali acquisizioni), in grado al momento di generare circa la metà dell’utile corrente lordo.
Mustier, che anche nell’Investor Day dello scorso ottobre, a Londra, ha ricordato di voler creare “una banca paneuropea vincente”, ha fatto una scelta molto diversa: ha progressivamente ridotto il suo peso in FinecoBank (la sua banca diretta, collocata in borsa già nel 2014) fino all’attuale 35%, senza procedere ad alcuna fusione con la “fabbrica prodotti”, ossia Pioneer Investment, che è stata invece ceduta ad Amundi per 3,545 miliardi (con una plusvalenza di 2,2 miliardi).
Alla fine, in borsa, entrambe le strategie hanno pagato, coi titoli che rispetto a 12 mesi fa guadagnano attorno al 14%-14,5% ciascuno; in termini di utili e dividendi, invece, il gruppo di Mustier dovrebbe chiudere l’anno con 4,75 miliardi di utile netto (dagli 1,3 miliardi dello scorso anno) con gli analisti che si attendono la distribuzione di un dividendo di 0,3 euro per azione.
Mentre Messina si è posto l’obiettivo di chiudere il 2018 un utile netto di almeno 4,5 miliardi, così da poter distribuire un dividendo di 0,2 euro per azione (3,4 miliardi complessivi). Così pur continuando per molti versi ad essere simili, Unicredit e Intesa Sanpaolo resteranno ancora una volta “gemelli diversi”.
Luca Spoldi