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Esteri
Cina, zero Covid per sempre nonostante l'economia. Nuovi lockdown per 65 mln

La Cina non cambia più: altri lockdown per 65 milioni di abitanti

Zero Covid forever. La Cina non accenna ad allentare la presa sui propri cittadini nell'ambito della sua strategia anti virus. Una strategia che le ha certamente consentito di avere numeri infinitamente più bassi di contagi e di morti rispetto a tantissimi altri paesi, in primis quelli occidentali, ma che ora sembra avere un impatto significativo soprattutto sull'economia di un paese già in rallentamento anche per altre ragioni. E una strategia che ora in molti iniziano a guardare con perplessità, compresi tanti cinesi e cittadini internazionali residenti nella Repubblica Popolare.

Ma il governo guidato da Xi Jinping non sembra avere nessuna intenzione di cambiare rotta. La città occidentale cinese di Chengdu ha esteso la chiusura della maggior parte dei suoi 21 milioni di residenti, tra l'altro subito dopo aver vissuto un grave problema legato alla siccità che ha avuto impatto rilevante sulla produzione industriale. A Chengdu sono stati chiusi tutti i luoghi di intrattenimento al chiuso, le scuole e i ristoranti per la ristorazione, ha dichiarato il governo locale.

La città continuerà i test di massa fino a mercoledì per raggiungere "lo zero Covid nella comunità il prima possibile", secondo una dichiarazione rilasciata nella tarda serata di domenica. Solo due distretti minori sono stati considerati in graduale ripresa, il che consente alle persone di tornare al lavoro con un test Covid negativo effettuato nelle 24 ore precedenti. 

Le ramificazioni delle misure anti-Covid di Chengdu stanno iniziando a emergere. Si tratta infatti della sesta città più grande della Cina, rappresenta circa l'1,7% del prodotto interno lordo ed è sede di numerose case automobilistiche e aziende tecnologiche, tra cui Volkswagen AG, Volvo Car AB e Foxconn Technology Group, il più grande assemblatore di iPhone al mondo.

L'impatto economico delle chiusure di Chengdu e Shenzhen, la Silicon Valley cinese

Le chiusure vanno ben oltre e toccano anche la Silicon Valley cinese, vale a dire l'hub tecnologico di Shenzhen. La città che ha dato i natali tra gli altri a Huawei è stata chiusa per il fine settimana, ha annunciato un nuovo ciclo di test Covid-19 e ha promesso di "mobilitare tutte le risorse disponibili, tutte le forze e tutte le misure possibili" per debellare la pandemia. Lunedì sono state riportate 71 infezioni locali, dopo che più della metà dei distretti della città erano stati chiusi la scorsa settimana. Si tratta di un dato in diminuzione e per questo i funzionari della sanità hanno dichiarato domenica che la città inizierà a utilizzare misure di controllo graduali a partire da lunedì, consentendo alle aree senza recenti infezioni comunitarie di allentare alcune restrizioni. Ma la situazione è come sempre fluida.

La Cina continua ad attenersi alla sua rigorosa politica di zero-Covid, anche se la maggior parte degli altri Paesi ha allentato le restrizioni e scelto di convivere con il virus. Secondo una stima della rivista finanziaria cinese Caixin, attualmente 33 città sono sottoposte a chiusure parziali o totali, che interessano più di 65 milioni di residenti. Di conseguenza, i nuovi focolai sono diventati un rischio importante per la seconda economia mondiale. 

Aspetto che sembra però passato in secondo piano per il governo di Pechino, nonostante un forte rallentamento della crescita economica nel secondo trimestre del 2022 e la presenza di altre spine: dalla questione immobiliare alla siccità, dall'inflazione alle turbolenze geopolitiche che si diramano dalla guerra in Ucraina fino alle tensioni sullo Stretto di Taiwan.

La narrativa del Partito si basa sull'efficacia della strategia zero Covid-19 sia sul piano interno sia sul piano esterno. Da una parte l'aver avuto un numero infinitamente più basso di morti dimostrerebbe, nella prospettiva del governo cinese, la superiorità del suo modello rispetto a quello proposto dalle "decadenti" democrazie occidentali. Dall'altra, la stessa bassa cifra di decessi rappresenta il perno di quella retorica dei diritti umani con caratteristiche cinesi che viene contrapposta per esempio agli Stati Uniti in risposta alle osservazioni e critiche su Hong Kong, Xinjiang o Tibet. Sbandierando l'elevato numero di morti per Covid-19 in America, la Cina dice agli States che anche loro non rispettano i diritti umani più elementari, come quello del diritto alla vita stessa.

Al XX Congresso in programma dal 16 ottobre, quello in cui Xi Jinping dovrà ricevere il terzo storico mandato, la strategia sarà rivendicata come una manovra vincente e Xi si appunterà la medaglia di colui che ha sconfitto il "demone del coronavirus". Dopo, però, ci sarà un'economia da far ripartire.

 

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