Esteri

Terrorismo: gli Usa, la Francia e il Regno Unito hanno aiutato l'Isis


Di Paolo Sensini

"La Francia ha conosciuto ieri ciò che noi in Siria viviamo da 5 anni". Sono queste le parole con cui il presidente siriano Bashar al-Assad, ricevendo una delegazione guidata dal parlamentare francese Thierry Mariani, ha commentato gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 che hanno lasciato sul terreno quasi 140 morti. Parole che pesano come macigni e con le quali, volente o nolente, Paesi come la Francia stanno iniziando a fare drammaticamente i conti. E siamo solo agli inizi.

Un ulteriore paradosso consiste nel fatto che i siriani stanno fronteggiando da cinque anni l'assalto sanguinario di quegli integralisti islamici che, in varia misura, vengono supportati da Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Israele, Stati Uniti, Inghilterra e Francia. E ora, dopo aver scatenato l'inferno lontano dai propri confini nazionali, taluni di quegli Stati che maggiormente hanno contribuito a sostenere i terroristi nel Levante si trovano il Paese in stato d'emergenza.

L'escamotage che alcuni strateghi da tavolino si sono inventato per appoggiarli, rifacendosi al solito armamentario del politicamente corretto, è stato quello di dipingerli come "ribelli moderati" che combattevano per ristabilire i diritti umani in Siria; ma è solo un trucco semantico per gabellare al pubblico occidentale dei terroristi che non hanno nulla né di "moderato" né tantomeno di "democratico".

Solo che l'opinione pubblica, si sa, è molto "scordevole" e nell'immaginario collettivo anche fatti di primaria importanza scoloriscono molto rapidamente. Vediamone qualcuno. Nel febbraio 2011 la Francia di Sarkozy ha iniziato a bombardare la Libia utilizzando come foglia di fico una risoluzione ONU (n. 1973) del tutto fraudolenta e illegittima sul piano del diritto internazionale, per sostenere degli integralisti islamici presentati al mondo come "ribelli democratici" e cambiare in questo modo gli assetti politici del Paese. In altre parole Parigi ha fornito sostegno e armamenti ai "ribelli" jihadisti libici affiliati ad al-Qaeda che poi hanno millantato la loro adesione al Califfato.

Il risultato è di aver fatto della Libia un campo di battaglia in cui sono morte più di 150mila persone e dove hanno trovato terreno fertile gruppi tribali e fanatici di ogni sorta. In breve, l'hanno ridotta a quello che gli americani definiscono uno "Stato fallito". Il tutto a poche centinaia di miglia nautiche dai confini italiani e da cui parte l'intero flusso di immigrati che giungono senza posa sulle coste italiane.

In buona sostanza la Francia (in compagnia di Inghilterra, Stati Uniti… e Italia), desiderava per propri calcoli politici togliere di mezzo Gheddafi e gettare nel caos un Paese come la Libia che vantava uno dei livelli più alti di benessere dell'intera Africa. E, bisogna riconoscerlo, è riuscita pienamente in questa criminale operazione.
 
Ma agli alti papaveri francesi ancora non bastava. L'anno seguente, il nuovo presidente socialista François Hollande è stato tra coloro che maggiormente hanno sostenuto i terroristi che volevano scalzare manu militari Bashar al-Assad dalla presidenza della Siria.

Evidentemente la lezione libica non era sufficiente e si desiderava replicare nuovamente "il colpo" con la vecchia colonia siriana. Ma in quel frangente le cose non sono andate come previsto e l'esercito di Damasco è riuscito nel 2012 a riconquistare la città di Bab Amr, nel distretto di Homs. Cosa scoprirono in quell'occasione i militari siriani una volta entrati nel santuario dei tagliagole? Un fatto non molto edificante per l'Eliseo, e cioè che insieme ai ribelli, la gran parte dei quali jihadisti, vi erano anche ufficiali francesi, dell'Arabia Saudita e del Qatar. Una notizia che non poteva evidentemente essere rivelata all'opinione pubblica per non mettere in imbarazzo il presidente Hollande, responsabile di aver armato in Siria gruppi terroristici che nulla avevano a che fare con la democrazia o i "diritti umani".

Lo stesso anno, non paga dei propri risultati, la Francia si lanciava in una nuova guerra in Mali contro quegli stessi ribelli jihadisti che aveva sostenuto in Libia e a cui dava contemporaneamente supporto Siria. Ma in questo caso erano in ballo i propri interessi geopolitici e non c'era più spazio per declamazioni retoriche sui diritti umani violati.

Ma non è finita qui. Nel settembre 2013 Francia e Gran Bretagna fecero sforzi straordinari affinché l'Unione Europea togliesse un (presunto) embargo sulle armi da far giungere ai combattenti sul fronte siriano. Lo sforzo venne coronato da successo perché l'Europa diede parere favorevole e le armi arrivarono copiose ai terroristi che in questo modo hanno potuto prolungare le stragi di civili in Siria per altri due anni.

Quindi nessuno oggi può dire, in tutta franchezza, "non sapevamo". Si sa per esempio che dietro queste orde di tagliagole che scorrazzano in Siria e Iraq vi è da luogo tempo l'Arabia Saudita, la quale li sostiene finanziariamente, ideologicamente e fornisce buona parte dell'equipaggiamento militare. O anche la Turchia di Erdogan, che molti vogliono addirittura come membro permanente dell'Unione Europea. Ma in Occidente si fanno spallucce, e qualche giorno prima che a Parigi vi fosse la strage più efferata della storia della Repubblica, il Premier Matteo Renzi era in visita ufficiale in Arabia Saudita a ossequiare i satrapi di quel Regno feudale che sono tra i massimi sponsor del terrorismo internazionale. Che moralità vi è in tutto questo?

La malafede dei Paesi occidentali si è evidenziata in maniera ancor più nitida quando la Russia di Putin ha deciso d'intervenire per sradicare la presenza dei jihadisti in Siria. A quel punto abbiamo visto all'opera tutte le gamme cromatiche del "fumo di guerra" per screditarne l'intervento e denigrarlo davanti all'opinione pubblica internazionale. Invece di sostenere il suo sforzo e magari affiancarli per renderne ancora più incisiva l'azione contro i tagliagole, per tutta risposta è iniziata un'opera incessante di svilimento teso a infangare il loro operato.

In occasione della recente esplosione dell'airbus russo sui cieli del Sinai che ha visto la morte di 224 passeggeri, la notizia è stata minimizzata e nessun capo di Stato, anche dopo la rivendicazione di paternità dell'azione da parte dell'ISIS, ha espresso solidarietà o fatto le proprie sentite condoglianze alla Russia. Niente, silenzio, o tutt'al più vignette che mettevano in burla l'attentato aereo come ha subito fatto il noto giornale satirico francese "Charlie Hebdo". Stesso copione con l'attentato in un quartiere di Beirut della settimana scorsa dove hanno perso la vita 41 persone e circa 200 sono rimaste ferite. Anche in questo caso la notizia non ha avuto quasi alcun rilievo sulla stampa occidentale mostrando ancora, se ve ne fosse ulteriore bisogno, un atteggiamento di menefreghismo o, che è addirittura peggio, disprezzo per le vittime innocenti.

Cosa possiamo allora aggiungere a quello che, con tempismo perfetto, è stato definito "l'11 settembre francese" ma di cui sappiamo pochissimo ancora circa la reale dinamica dei fatti? Che con molta probabilità il sangue versato sulle strade di Parigi verrà utilizzato dalle centrali della propaganda bellica per spronare a un intervento militare in Siria e Iraq contro quegli stessi "ribelli" che hanno foraggiato fino al giorno prima. O magari per introdurre a furor di popolo una sorta di versione in salsa europea del "Patriot Act" per limitare ancora di più le già residue libertà dei cittadini. Una politica a dir poco schizofrenica e suicida, come quando la coalizione alleata di cui era partecipe la Francia voleva attaccare Damasco nell'agosto 2013 per l'uso di armi chimiche che oggi gli organismi internazionali attribuiscono unanimemente ai "ribelli democratici", ma che venne scongiurato per un soffio grazie al provvidenziale veto della Russia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uniti.

Per cui diciamolo chiaramente: le classi dirigenti dell'"Occidente" si credono molto abili in questa politica spregiudicata del doppio gioco, ma può accadere che la partita si faccia sempre più pericolosa e vi sia il rischio concreto di rimanere vittime del proprio bluff. È un'eventualità che conviene tenere nella massima considerazione, vista anche la consistenza numerica in continua crescita delle comunità islamiche presenti in Europa. Il tempo dunque stringe e occorre che si ponga fine al più presto a questa tragica sceneggiata che ha lasciato dietro di sé fin troppi morti.