Esteri

Stop al legame nazionalismo-populismo.La Sinistra lascia il popolo alle destre

Carlo Patrignani

Correva l'anno 1956 in Ungheria. E qualcuno detto il Migliore brindava con del buon vino all'Armata Rossa che il 7 novembre poneva fine con i tank e le armi alla rivolta popolare, iniziata il 23 ottobre con la manifestazione pacifica di migliaia di studenti a sostegno dei loro coetanei polacchi scesi in piazza a Poznan, contro il regime autoritario di Rakosi: il riformista Nagy fu deposto per ripristinare lo status quo con Kadar.

Sono trascorsi 62 anni da quella inumana tragedia - 2700 morti, diverse migliaia di feriti, ben 250 mila ungheresi trovarono rifugio in Occidente - e l'Ungheria per la terza volta ha scelto - quasi il 50% - Victor Orban, leader della Fidesz, partito nazional-conservatore, sovranista e cristiano, quale capo di un governo a difesa della 'madrepatria' in linea con i regimi illiberali di Putin e Erdogan.

Inoltre il voto ha premiato (20%) Jobbik, il Movimento per un'Ungheria Migliore di estrema destra, razzista e xenofoba e ha bocciato, (appena il 12%) gli ex-comunisti e verdi. Non dovrebbe esserci nessuno, lo si spera, che in Occidente 'a sinistra' brindi alla terza vittoria di Orban con del buon vino come a suo tempo fece il Migliore venerato e osannato dal popolo comunista, diversamente dall'autodidatta riformista Peppino Di Vittorio che condannò l'invasione dell'Ungheria e dal commissario della Brigata Garibalidi, Antonio Giolitti che se ne andò dal Pci.

Semmai c'è da farsi qualche domanda su quanto accaduto in un paese dove a lungo dominò 'il comunismo' che ora è assai chiaro ed evidente non realizzò la promessa della "liberazione dell'uomo" dallo sfruttamento, dall'alienazione, dalla povertà, dalla schiavitù. Ma forse non è stato sufficiente il crollo del Muro di Berlino per guardare in faccia la realtà: il fallimento di un'ideologia in base alla quale si dava a intendere alla gente che sarebbe bastato un semplice miglioramento materiale delle condizioni di vita e sarebbe arrivato il  benessere. 

E oggi come si risponde a questo 'populismo sovranista', a tutela della 'identità nazionale' e della falsa 'razza', scientificamente non  appropriata se riferita all'essere umano, che esclude qualsiasi contatto con chi parla un'altra lingua, ha un altro colore della pelle e degli occhi, ha una propria originale cultura e chiede solo il minimo necessario alla sopravvivenza?

Si continua a bollare con questo termine ogni movimento - Podemos, Syriza, Momentum, Our Revolution, Generation.s, M5S - oppure ogni partito-movimento - lo stesso Labour Party di Jeremy Corbyn o la formazione DSA vicina a Bernie Sanders - che si batte contro le diseguaglianze economico-sociali, la precarietà, la povertà crescente di milioni di persone, per effetto delle politiche neoliberiste di austerità e contro i "Robin Hood in reverse" che arricchiscono 'i pochi' già ricchi e impoveriscono 'i molti' già esclusi e poveri?

Non sarà per caso arrivato il tempo di rispondere alla rabbia, disperazione, risentimento, fino all'odio di milioni e milioni di persone e soprattutto di giovani e millennial che ogni giorno vedono affievolirsi "la speranza nel futuro", con un populismo di sinistra, cioè con nuove idee - reddito universale di sopravvivenza o di esistenza, libero accesso ai ben comuni: energia, acqua, scuola, università, sanità, trasporti - e un progetto di società basato su uguaglianza, partecipazione, qualità della vita, onestà, alternativo all'attuale?

Forse più che lasciarlo in mani pericolose, la sinistra - quel che di sinistra ancora esiste in Europa e in Italia - dovrebbe recuperare e rivendicare per la sua storia, il termine populismo, ossia fatto per il popolo, per promuoverne una versione 'progressista' in direzione di tutti gli esseri umani che, in quanto esseri naturalmente sociali, vivono e abitano la società con i loro bisogni materiali e immateriali.