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Esteri
Cina sempre più pretesto di scontro politico. Si specula pure sul coronavirus

Commercio, proprietà intellettuale, tecnologia, telecomunicazioni, 5G, porti, basi militari, valute, diritti umani. Tutti argomenti che negli ultimi due anni sono stati coinvolti, più o meno strumentalmente, nella disputa tra Stati Uniti e Cina. E che a loro volta sono sempre più sfruttati a livello politico dagli aspiranti filotrumpiani della "sfera di influenza" statunitense, per utilizzare un termine da guerra fredda, oppure dai fan sempre e comunque del "modello cinese". Gli sviluppi geopolitici, complici le pressioni di Washington e alcuni passi falsi di Pechino, stanno portando a un pericoloso clima da scontro ideologico. Un clima nel quale non si guardano i fatti e non si cercano di risolvere le questioni aperte in maniera costruttiva, ma si critica oppure si idolatra a prescindere. 

In primis a livello politico. Chi vuole legittimamente incrementare le relazioni commerciali e diplomatiche con quella che è la seconda economia a livello mondiale chiude entrambi gli occhi sulle criticità delle politiche cinesi. Al contrario, chi ha deciso di diventare il punto di riferimento dei Repubblicani made in Usa vede un disegno diabolico celato dietro qualsiasi mossa di Pechino. La Cina sta diventando sempre di più, anche in Italia, un argomento divisivo e polarizzante. Non dovrebbe essere così, ma è la conseguenza della postura geopolitica americana nonchè dell'incauto passo avanti del governo Conte I (del quale facevano parte sia Movimento Cinque Stelle sia Lega) di aderire alla Belt and Road Initiative. Una mossa dalla profonda portata politica che ci si è illusi, più o meno inconsapevolmente, potesse avere un significato esclusivamente commerciale. 

Ed ecco allora una linea eccessivamente subalterna ai desiderata cinesi da una parte, e l'insistenza sulla retorica anti cinese dall'altra. Con un riflesso sui mezzi di informazione, che spesso fanno fatica ad andare al di là dei pregiudizi positivi o negativi dell'uno o dell'altro schieramento. Così, sollevare qualche dubbio sulla genuinità dell'utilizzo strumentale dei temi legati a Hong Kong e Xinjiang significa essere "filo cinesi". O, al contrario, sottolineare le criticità dell'operato di Pechino in quelle ol altre vicende significa essere "anti cinesi". 

Chi pensava che da tutto questo ragionamento potesse restare fuori un'emergenza sanitaria come il coronavirus si sbagliava, purtroppo. Persino la diffusione della nuova epidemia è diventata occasione per polemiche e, soprattutto, per la diffusione dei pregiudizi. Un conto è parlare dei possibili ritardi del governo cinese nel far fronte alla crisi. Un'altra è dare per certe "notizie" senza che al momento vi sia alcun riscontro, dando credito a svariate teorie del complotto. Un conto è ipotizzare che Pechino possa provare a contenere i dati reali (pur ricordando che l'autorità scientifica cinese, memore di quanto accaduto con la Sars, ha dimostrato subito grande apertura e collaborazione), un'altra esprimere opinioni catastrofiste sul numero dei morti. Giusto accertare la verità, però cercando di restare aderenti ai fatti concreti. Per non parlare della pretestuosa associazione tra dimensioni della comunità cinese presente nella data città italiana e le possibilità di diffusione del virus.

Pregiudizi e superficialità che, tra l'altro, contibuiscono a creare un clima di paranoia assurda verso i turisti cinesi o verso le comunità cinesi in Italia, comprese ragazze con cittadinanza italiana come la 19enne aggredita su un treno in Veneto la scorsa settimana. O come la coppia di turisti inseguiti e presi a sputi a Venezia. O ancora, come un ragazzino insultato durante una partita di calcio giovanile in provincia di Milano. Quasi del tutta cancellata non tanto la "tolleranza", termine anch'esso spiacevole, ma la "solidarietà" e l'"empatia" con il popolo cinese.  Che, sorpresa sorpresa, è composto da persone.

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