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Fatti deprecabili. Poesie e perfomance dal 1971 al 1996

di Alessandra Peluso
“Io / dipingo / la poesia” ed è proprio così, leggendo l’imponente silloge di Caterina Davinio, “Fatti deprecabili. Poesie e perfomance dal 1971 al 1996”. Con accurate prefazione di Dante Maffia e postfazione di Ivano Mugnaini.
In questa creazione poetica, si spalanca un mondo, tante vite, che si contrappongono o semplicemente si disvelano così come qualcuno ha voluto, deciso. Il libro di Davinio è strutturalmente organizzato in cinque libri, in ognuno dei quali l’autrice si racconta senza sforzi, evitando un individualismo deprecabile, per l’appunto, ma, trattando la poesia come vita, materia incandescente che a volte risulta davvero difficile gestire.
Caterina Davinio incanta il lettore, lo fa sognare attraverso la sezione intitolata “Il libro dei sogni”; lo pone in una condizione di disordine ne “Il libro del disordine”; a seguire attraverso il “Libro mistico” si ha l’impressione di una rinascita del proprio spirito, del proprio inconscio, periodo nel quale il poeta-uomo o donna che sia, comprende di non aver bisogno di un passato, di tornare indietro, ma spezzati i fili della tradizione, corre incontro alla vita.
Così, il lettore, come un viaggiatore, percorre le vie impervie della vita intima della poliedrica Caterina. E dal “libro del caos e del risveglio”, i versi raggiungono la corrente impetuosa di un “Fuori testo”. Non sempre la vita può essere canalizzata, fortunatamente, e questo che dimostra anche l’autrice nella raffinata ed intensa opera poetica “Fatti deprecabili. Poesie e perfomance dal 1971 al 1996”.
Tuttavia, questo libro vuole essere, come si legge nella quarta di copertina, anche un percorso nelle culture giovanili che hanno tre decenni con i loro miti, esperienze, cadute e resurrezioni: gli anni Settanta psichedelici e visionari, il Movimento del ’77, il punk e il post-punk, gli anni Ottanta, l’eroina, il male di vivere nelle metropoli, fino ai cambiamenti e alle sperimentazioni degli anni Novanta. Ed ecco che l’universale si incontra col particolare, l’individuo si abbraccia con il tutto, ed è magia.
Si legge: «Al tramonto custodisco / nuvole sfibrate, / senza un lamento / la luna mi corteggia / nei giorni della morte / che ammicca, / inconfondibile segno dell’attesa» (p. 207); ed ancora: «Vagabondai / prima di capire / che anche il silenzio / è fatto di rumore, / anche il buio / è fatto di particelle di luce / e anche la luce / ha la sua penombra» (p. 63).
La metamorfosi è evidente in Caterina Davinio, in un escalation sorprendente, così come la ricchezza del pensiero, che non passa da una sola cavità, ma investe un abisso, l’immenso, l’etereo e il macabro, ogni parte di me, di te, di noi, della vita, di tutto ciò che è affascinante, o forse apparentemente “deprecabile”.
Vi è uno scenario, manifesto simbolo di rottura con tutto ciò che è conforme ad ogni regola. Si riflette, pertanto, la meraviglia della poesia di Arthur Rimbaud, il quale, proprio come Caterina Davinio, scrive contro ogni rigidità mentale, pregiudizio, al di sopra di ogni regola, a favore della libertà e dell'esprimere se stessi senza alcun bisogno di nascondersi. E dunque, è evidente come nelle poesie di Davinio si palesa un “Io a più voci, collettivo, che tralasciando le cose stupide della quotidianità si lascia guidare per cogliere le quintessenze, in un meccanismo di rovesciamento perverso dell'ordine e del disordine dell'anima, che deve essere scardinata dalle apparenze ingannevoli e dai pregiudizi precostituiti, affinché se ne possa comprendere il funzionamento sottratto dalla morale e all'ipoteca condizionata e sottoposta di Dio” (Elio Ria).
Fatti deprecabili. Poesie e perfomance dal 1971 al 1996, di Caterina Davinio è più di un libro, e comporta e merita più di una lettura.