MediaTech
Facebook, le bufale di Rampini. Media italiani confondono privacy con fake
Il disastro dei media italiani sull'audizione Zuckerberg. Confondono il furto dei dati personali con le fake news, la manipolazione con le campagne politiche
Se non paghi, il prodotto sei tu. Lo ha fatto capire l'audizione ieri al Senato degli Usa del creatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Un evento storico, in diretta mondiale, dedicato alla manipolazione e alla sicurezza dei dati personali. Ma i media italiani hanno continuato a spiegare l'incontro confondendo il furto dei dati personali (la sicurezza sulla privacy) con le fantomatiche fake news. Infilando nella ricostruzione delle oltre 4 ore di audizione anche strafalcioni, tipo quello di Federico Rampini su La Repubblica di oggi, dove scrive che Zuckerberg avrebbe detto: “Presto avremo ben ventimiladipendenti che si occupano a tempo pieno di privacy e sicurezza, questo aumenterà i nostri costi e ridurrà i profitti ma è la cosa giusta da fare”. Quando Zuckerberg ha detto che si occuperanno di privacy e sicurezza “two thousand” nuovi dipendenti che vuol dire 2.000 nuovi dipendenti, non 20.000. Sarebbe impossibile per Facebook che ne ha in totale circa 23.000.
Ma chi tutela la privacy e ci difende dal commercio dei nostri dati personali, usati subdolamente per “darci cosa ci serve”, “risolvere i nostri problemi”, facendoci diventare vacche da mungere per le grandi imprese che se li comprano? Dovrebbero farlo i governi, le istituzioni, la politica. Si è capito anche dall'audizione di ieri. Ma la nostra politica è in grado di farlo?
Christopher Wylie, ex dipendente della Cambridge Analytica, ha rivelato aIl Guardiane a Il New York Times, come sia stato facile per la sua società usare milioni di profili Facebook per influenzare gli elettori, di cui si conoscevano gli interessi, con messaggi di propaganda e disinformazione mirati a modificarne le opinioni politiche (in questo caso, per non parlare di quanto sia facile modificare quelle commerciali). Facebook invece è accusata di non aver comunicato agli utenti quanto accaduto. Dai primi utenti si è arrivati a carpire i profili dei loro amici, a catena, fino ad giungere a 87 milioni di profili coinvolti.
Zuckerberg, nell'audizione, si è detto responsabile degli errori e disponibile a nuove regole che difendano i cittadini, “sennò dovrà farlo il Congresso che fermerà questa attività (Facebook, ndr) se non darà certezza sulla privacy”, ha ripetuto il senatore Grassley. Ascoltando le 4 ore di audizione si può assaggiare il dibattito pubblico americano sul tema sicurezza e manipolazione dei dati personali, un universo a noi del tutto sconosciuto.
I repubblicani sono ideologicamente contrari ai controlli dello Stato sulle aziende private, i democratici invece restano degli “appassionati” delle imprese della Silicon Valley che solitamente li finanziano, ma tutti si sono rivolti con grande rispetto e attenzione alla creatura di Zuckerberg e a lui in particolare, al quale è stato anche detto dal senatore John Thune: “La storia che lei ha creato rappresenta il sogno americano (il fatto di essere arrivato dov'è partendo dal niente, ndr), ma stia attendo che non si trasformi in un incubo”. Uno scambio molto teso e serio, mai accompagnato da atteggiamenti di presunzione e sufficienza o dalle classiche “risatine” che avremmo visto sulle labbra dei parlamentari italiani mentre “interrogano” l'imprenditore di turno (immaginate come si sarebbe potuto svolgere quello di Silvio Berlusconi e il suo conflitto di interessi, sic!). Forse anche a dimostrazione di cosa sia un Paese liberale che rispetta chi ha creato un'impresa, anche eccezionale qual è Facebook che produce lavoro per altri ma ha anche tanti limiti da modificare.
Un dibattito incentrato sull'uso dei dati personali dei cittadini e non sulle fake news. E' chiaro che il compito di Facebook dovrebbe essere quello di eliminare intrusioni e l'uso improprio dei dati usati per manipolare idee politiche e gusti. Ma per i media italiani Zuckerberg è diventato colui che dovrà fare “il poliziotto” delle idee altrui. Entrando nel merito di ciò che viene scritto. Nulla di più delirante, lontano anni luce dallo scambio di 4 ore avutosi in Senato.
Una discussione che non si è mossa in punta di diritto, argomentando questioni legali e violazioni di norma ma sulla fiducia. Su quale sia, dopo quanto accaduto, la fiducia dei cittadini in Facebook e nel suo amministratore. Avere fiducia che Facebook non permetta di manipolare la vita della gente, per Zuckerberg vuol dire credibilità e investimenti. Tutto si gioca su questo, non sulle opinioni politiche, non sulle briciole.
E' da segnalare che i politici americani intervenuti (44 senatori) hanno manifestato un livello di competenza davvero alto, a dimostrazione che dietro il loro intervento ci sono apparati politici e legislativi tradizionali complessi. Perché a differenza di quanto si pensi, la politica e la libertà hanno dei costi e non si può metterle in mano di un'azienda privata.
E, dulcis in fundo, i politici americani costano anche meno degli italiani. Il grafico dell’Economist di qualche anno fa confronta la retribuzione annuale in numeri assoluti (il pallino blu) e il rapporto tra lo stipendio dei parlamentari e la ricchezza nazionale per ogni cittadino. La Nigeria è all'ultimo posto.