Milano

Autopsia su Sant'Ambrogio, Gervaso e Protaso: le reliquie sono autentiche

Le ricerche sui resti di Sant'Ambrogio e sui Santi Gervaso e Protaso da parte del Labanof: i due martiri erano fratelli, il patrono aveva il volto asimmetrico

Autopsia su Sant'Ambrogio, Gervaso e Protaso: le reliquie sono autentiche

Come afferma la tradizione sant’Ambrogio si era in effetti procurato una brutta frattura alla spalla destra in seguito ad un incidente e il suo volto doveva essere molto simile a quello raffigurato nel ritratto che compare nel mosaico della cappella di San Vittore in Ciel d’oro, all’interno della basilica fatta costruire dal santo durante il suo episcopato milanese. Gervaso e Protaso, invocati da Ambrogio “tales ambio defensores”, avevano una ragguardevole statura, furono martirizzati in giovane età ed erano certamente fratelli.

Questi sono i primi esiti della ricognizione eseguita sui resti dei corpi dei tre santi maggiori della Chiesa ambrosiana, illustrati oggi dalla professoressa Cristina Cattaneo, Ordinario di Medicina Legale e direttrice del Centro LabAnOf, dell’Università Statale di Milano, nel corso della conferenza stampa convocata nella sala capitolare della basilica di Sant’Ambrogio per presentare lo studio multidisciplinare sulle reliquie, promosso dalla parrocchia, sotto l’alto patrocinio della Diocesi di Milano.

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La professoressa che ha coordinato le ricerche ha spiegato che dall’esame radiologico e anatomico eseguito risulta che i resti di Ambrogio sono quelli di un uomo sano di circa sessant’anni, alto circa 170 cm, con una brutta frattura alla clavicola destra che gli doveva procurare dolori e difficoltà nei movimenti, come lo stesso Ambrogio lamenta nei suoi scritti alla sorella Marcellina.

Inoltre lo studio della fisionomia del cranio mostra sotto le orbite una marcata asimmetria, dovuta ad un evento traumatico sulla cui natura si sta ancora indagando. Tale conformazione conferma, per la prima volta su basi scientifiche, la verosimiglianza attribuita dagli studiosi della storia dell’arte al ritratto del Santo presente nel mosaico della cappella di San Vittore in Ciel d’oro.

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L’esame degli scheletri dei due martiri Gervaso e Protaso, invece, ha rilevato difetti congeniti alle vertebre tali da far suppore un forte legame di consanguineità tra i due. Inoltre entrambi risultano giovanissimi, (tra i 23 e i 27 anni), alti oltre cm 180. Uno presenta segni di decapitazione e peculiari lesioni alle caviglie, forse da costrizione forzata, l’altro lesioni da difesa e fratture costali, oltre a segni sospetti di tubercolosi (ancora in corso di studio). Dati che proverebbero il martirio e che potrebbero dare anche indicazioni riguardo alla loro origine geografica.

Infine le indagini microbiologiche hanno permesso di fugare ogni dubbio sull’ammaloramento delle ossa: le analisi hanno stabilito che gli scheletri si sono conservati perfettamente e non sono al momento attivi micro-organismi che possono intaccare la sopravvivenza.

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«Questa cura per le reliquie di valore unico per la devozione della Chiesa ambrosiana e della Chiesa universale è un esercizio significativo di alleanza tra scienze e comunità cristiana. Aiuta i cristiani a non dimenticare mai che il Cristianesimo è una fede costruita sull’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazaret: la dimensione storica per il Cristianesimo è irrinunciabile», ha messo in evidenza don Walter Magni, portavoce dell’Arcivescovo di Milano, leggendo un messaggio firmato dallo stesso mons. Delpini e inviato all’abate della basilica di Sant’Ambrogio.

«Attraverso questo studio abbiamo contribuito a custodire questo tesoro di fede e di bella umanità che Milano offre al mondo», ha detto mons. Carlo Faccendini, abate e parroco di Sant’Ambrogio.

Il rettore dell’Università degli Studi di Milano  Elio Franzini ha messo in evidenza il lavoro di collaborazione tra i diversi dipartimenti degli atenei coinvolti «solo l’incrocio tra diversi saperi permette oggi di avanzare nelle conoscenza e di fare cultura».

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La soprintendente di Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Milano, arch. Antonella Ranaldi, ha sottolineato «il significato religioso e culturale delle reliquie».

Promossa dalla Basilica di sant’Ambrogio sotto l’alto patrocinio della Diocesi di Milano, in occasione dei 150 anni dal rinvenimento dei tre scheletri (gennaio 1864) e da 50 anni dall’ultima apertura della teca in occasione della traslazione del corpo di sant’Ambrogio in Duomo (1974), lo studio è stato condotto dall’Università degli Studi di Milano e dall’Istituto Ortopedico Galeazzi, con l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio.

Il gruppo di ricerca - coordinato dalla prof.ssa Cristina Cattaneo, Ordinario di Medicina Legale dell’Università Statale e direttrice del Centro LabAnOf dello stesso Ateneo - ha eseguito la ricognizione e l’esame antropologico dei resti di Ambrogio, Gervaso e Protaso; la valutazione dello stato di conservazione e le indagini radiografiche e Tac degli scheletri, un esame del sarcofago in porfido che ha contenuto i santi fino alla metà dell’Ottocento, ricerche di archivio e storiografiche.

Questi i docenti, i ricercatori e gli studiosi coinvolti: Cristina Cattaneo, Davide Porta (LabAnOf - Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute, Università Statale di Milano); Nicola Ludwig e Letizia Bonizzoni (Dipartimento di Fisica, Università Statale di Milano) Silvia Bruni e Vittoria Guglielmi, (Dipartimento di Chimica,  Università Statale di Milano) Francesca Cappitelli (Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente, Università Statale di Milano); Luca Sconfienza e Fabrizio Pregliasco (Istituto Ortopedico Galeazzi e Dipartimento di Scienze biomediche per la salute, Università Statale di Milano); Fabrizio Slavazzi (Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, Università Statale di Milano), Marco Petoletti, (Università Cattolica di Milano), Miriam Tessera, (Archivio Capitolare della Basilica ambrosiana); Antonella Ranaldi, Annamaria Fedeli, Laura Paola Gnaccolini, Paolo Savio (Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Milano).

Le monache benedettine dell’Isola di San Giulio d’Orta (Novara) si sono occupate del restauro dei preziosi paramenti dei tre santi; le suore del Monastero di Viboldone in San Giuliano Milanese hanno restaurato i documenti cartacei.







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