Milano

Città Metropolitana, cadavere o ente vivo? "Un aborto". "No, stiamo lavorando"

Da quando la Provincia si è trasformata in Città Metropolitana si parla solo del rischio fallimento

di Fabio Massa

Di città metropolitana si parla praticamente solo in un'occasione, durante l'anno: quando c'è da chiudere i bilanci e partono le lamentazioni bibliche. In pratica, da quando la Provincia si è trasformata in Città Metropolitana, si parla solo del rischio fallimento. Così, immancabilmente, negli ultimi bilanci, arrivano i tavoli di confronto, i politici che vanno e vengono da Roma, e il sindaco di Milano Beppe Sala, che è anche sindaco della Città Metropolitana (per decreto, non per volontà), che inizia ad esternare tutto il suo disappunto. E il resto dell'anno? Il silenzio, interrotto solo da qualche monito programmatico in occasione delle campagne elettorali, per dire che bisogna ridare dignità a questo ente. In effetti, quello che viene da chiedersi è se la Città Metropolitana sia ancora utile o se vada chiusa definitivamente. Uccisa. Ammesso che si possa uccidere un cadavere. O, per dirla con Franco D'Alfonso, "un aborto". "Io mi sono dimesso ufficialmente da assessore al bilancio - spiega ad Affaritaliani.it Milano l'ideologo arancione - Tra poco mi dimetterò anche da consigliere metropolitano. Del resto la Città Metropolitana è un aborto, e dobbiamo rendercene conto. Non ha alcun senso di esistere. Non è né carne né pesce né nulla. L'unica cosa da fare è provare a farla tornare ad essere provincia, superando il tentativo fallito di Renzi di accentrare tutto con la pessima legge Delrio". E i conti? Sono migliorati? "Macché - continua D'Alfonso - E' tutto come prima. Hanno solo reso possibile usare parte dei soldi derivanti dalle alienazioni, ma si tratta di una manovrina tecnica".

Domanda secca: di progetti finanziati oltre la sussistenza ce ne sono stati? "No. Zero. L'unica cosa che si fa è la manutenzione delle strade e si dovrebbe fare quella delle scuole. In più ci sono le procedure ambientali. Che però, appunto, sono solo procedure. La cosa brutta è che di progetti se ne potrebbero fare molti, dalla valorizzazione della fibra ottica all'Idroscalo. Ma non si fa nulla perché non ci sono soldi", chiosa D'Alfonso.

Ma Arianna Censi, vicesindaco metropolitano, proprio non ci sta. E spiega ad Affari: "Quelle di D'Alfonso sono semplificazioni che non rendono giustizia alla sua intelligenza - dice - Entro la fine di maggio, per la prima volta, approveremo il piano triennale e questo ci permetterà di avere più tempo per appaltare le gare. Certo, mancano sempre i 50-60 milioni strutturali. Avremmo una vita più tranquilla e invece operiamo nella situazione più difficile possibile". E' vero che di progetti oltre la sussistenza non ne sono stati finanziati? "Non è vero. Abbiamo progetti sulla Paullese, sulla rotonda di Binasco, sulla verifica di tutti i ponti e le strade, e sul cambio del metodo di riscaldamento delle scuole. Sono progetti poco visibili, ma che stanno andando avanti".

D'Alfonso però insiste: "Se fossi il sindaco Sala me ne andrei. Oppure, inizierei un dialogo con la Regione e il governatore Fontana. Possono fare qualcosa, se superano il litigio tra i funzionari dei due enti". Intanto, da Bergamo parte la riscossa. L'altro giorno Claudia Terzi, assessore alle Infrastrutture di Regione, ha partecipato a una riunione con i sindaci della bergamasca: "Abbiamo condiviso la necessità e l'urgenza di mettere mano alla Legge Delrio. Ovviamente con l'obiettivo di riconoscere alle province la dignità e il rispetto che meritano. Quindi competenze e risorse economiche".

fabio.massa@affaritaliani.it







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