Mancano pochi minuti alle 21. Sulle panchine di piazza Fontana, alle spalle del Duomo, siedono giovani immigrati, qualche anziano, una famigliola straniera con due bimbi piccoli. Appena dall'angolo che da su via Larga spunta il camper bianco della "Ronda della carità e solidarietà", si alzano tutti e si dirigono verso il palazzo della Curia arcivescovile. È lì che si ferma il camper: i quattro volontari aprono un tavolino da campeggio è iniziano a distribuire the freddo, biscotti, tonno e panini. È un rito che si ripete due volte alla settimana, lunedì e mercoledì. I senza dimora e gli immigrati che bazzicano intorno a piazza Duomo lo sanno bene e arrivano all'appuntamento con qualche minuto di anticipo. "In questo periodo sono meno del solito -racconta Antonio Venuti, volontario da quattro anni e vicepresidente della Ronda-. Molti si trasferiscono nelle zone di vacanza dove è più facile racimolare qualche soldo per sopravvivere".
In città in estate rimangono quelli meno intraprendenti. Ieri a Milano sono morti due di loro: Ibrahim Sovv, senegalese, 51 anni, trovato senza vita alla stazione Centrale e Iac Janusz, polacco, 49 anni, che giaceva nei giardini all'angolo tra via Liberazione e Melchiorre Gioia. In città sono 13 le associazioni che offrono assistenza ai senza dimora andando a cercarli sulle strade, nelle stazioni, nei giardini pubblici. La Ronda della carità e della solidarietà è un'associazione nata a Firenze nel 1993 ed è attiva a Milano dal 1998. I volontari milanesi sono 30 e con il camper fanno la ronda quattro giorni la settimana: il lunedì e il mercoledì intorno a piazza Duomo, mentre il martedì e il giovedì nella zona della stazione di Porta Garibaldi. La fila al camper si esaurisce nel giro di un quarto d'ora: sono tutti molto educati, ringraziano, chiedono il bis di the freddo. Con alcuni i volontari scambiano qualche parola: "Come stai? Sei andato dall'assistente sociale?".
Qualcuno ha voglia di parlare, altri prendono tonno e panini e spariscono. In silenzio, si fanno avanti due coppie di coniugi, che si presentano con i figli al seguito: stranieri, una con due ragazzi adolescenti, l'altra con dei bambini che non superano i cinque anni. I genitori mandano davanti loro, sorridenti che subito prendono il cibo offerto dai volontari, quasi fosse un gioco. "Qui si presentano sia i senza tetto sia alcuni immigrati che hanno pochi soldi e con la roba che diamo noi riescono a risparmiare un po' -mi spiega Antonio-. Facciamo questo servizio non solo per dare qualche genere di conforto, ma anche per instaurare con loro un rapporto e sperare che ci chiedano di aiutarli ad uscire dalla loro condizione".
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Dopo aver richiuso il tavolino, i volontari iniziano a girare per le vie intorno a piazza del Duomo, a piedi. Con dei sacchi di tela pieni di tonno e panini e un piccolo thermos, vanno incontro ai clochard che dormono o vivacchiano negli angoli del centro. Si inizia da corso Vittorio Emanuele: di fronte alla Chiesa di San Carlo al Corso stazionano sei senza dimora. Uno di loro, un romeno che non vuole dire il suo nome, è sulla sedia a rotelle: ha le gambe amputate dal ginocchio in giù. Racconta che è appena uscito dall'ospedale: "Ho la gastrite cronica". I volontari gli spiegano come procurarsi un posto letto. Sembra abbia capito e comunque domani Ciro, che dorme sempre lì, lo accompagnerà alla stazione Centrale dove c'è lo sportello del Comune. Il giro prosegue fra giovani tossicodipendenti (che rifiutano il bicchiere di the, ndr) e anziani senza dimora ben conosciuti dai volontari: uno di loro ha la testa ripiegata sulla spalla destra. "I dottori dicono che è una questione di nervi e non vogliono operarmi -racconta-. Ma Elena (una volontaria di un'associazione) ha detto che mi porta a Bologna dove ci sono degli specialisti".
Il "pellegrinaggio" prosegue in corso Matteotti, verso la Scala. In una galleria laterale dorme, pancia a terra, vicino ad un negozio di abbigliamento griffato, una donna bionda: Antonio per essere sicuro che sia tutto a posto, la sveglia con delicatezza e le offre un po' di the fresco. Si chiama Angela, ha le unghie laccate di rosso e una treccia fermata da un nastrino. Ai polsi braccialetti e ninnoli. "Sono scappata di casa perché mio marito si ubriacava -racconta-. Vivo in strada perché non me la sento di tornare a casa". È da anni che Angela fa questa vita, neppure lei si ricorda da quanto. Prima di entrare in Galleria, incrociamo due giovani sui trent'anni. Antonio dice ai volontari di non fermarsi: "Abbiamo provato in passato a instaurare con loro un dialogo, ma ci hanno cacciato. Ci limitiamo a salutarli. Chissà, forse un giorno accetteranno il nostro aiuto".
L'ultimo senza dimora che incontriamo è Angelo: coperto di stracci vive in un angolo a pochi metri dalla Galleria. Con le mani tiene il viso coperto perché, dice, gli danno fastidio le zanzare. Accetta volentieri cibo e bevande. "Lo conosciamo da molto tempo -spiega Antonio-. Ogni tanto ci chiede dei vestiti, ma appena gli chiediamo qualcosa della sua storia si chiude in se stesso".