Milano

Milano, le periferie senza istruzione: il divario choc tra quartieri e centro

Nella Milano che cresce e si espande ci sono storie di estremo disagio e di assoluta non curanza da parte delle famiglie. Specie nelle zone periferiche

di Eleonora Aragona

Un bambino di 7 anni non va a scuola, se gli chiedete perché lui risponde che nessuno lo sveglia in tempo. Un altro invece non fa mai i compiti, se gli chiedete come mai lui vi dirà che non ha la luce in casa. Un altro ancora non frequenta e non studia perché nessuno si assicura che lo faccia e lui quindi preferisce starsene in piazza piuttosto che essere costretto per una mattinata intera in aula.

Sono ragazzi e ragazze che vengono abbandonati a sé stessi, nessuno si preoccupa di controllare che abbiano fatto i compiti, che siano preparati per l’interrogazione o che abbiano abbastanza da mangiare. Sono solo tre dei casi più comuni di bambini milanesi a rischio dispersione scolastica come mi raccontano gli operatori di diverse associazioni. I bambini di cui parliamo vivono a Quarto Oggiaro, a Gratosoglio, a Corvetto, a Giambellino, a Turro, insomma nell’altra Milano, quella senza passerelle e lustrini.

Nella città che cresce, che si espande e che vende un volto truccato e profumato ci sono storie di estremo disagio e di assoluta non curanza da parte delle famiglie. Il tasso di dispersione scolastica è calcolato rispetto alla quota dei giovani tra i 18 e i 24 anni d’età con al più il titolo di scuola secondaria di I grado o una qualifica di durata non superiore ai 2 anni e non più in formazione. E non sembra essere un caso che il tasso di dispersione scolastica in Lombardia sia praticamente equivalente a quello dei minori che vivono in povertà relativa, entrambi si aggirano intorno al 14%, secondo i dati in possesso di Affaritaliani.it Milano.

“Per i ragazzi che aiutiamo”, spiega Camilla Bianchi - responsabile di Milano del progetto Fuoriclasse di Save The Children -, “la scuola è il secondo o il terzo posto, così è anche per i genitori che spesso sono disoccupati, drogati, alcolizzati, o in forte difficoltà”. Lo stesso sostiene Padre Eugenio Brambilla, il presidente della Fondazione Sicomoro: “Abbiamo almeno 3 casi di ragazzi che vivono soli. Proviamo a telefonare a casa al mattino e dormono tutti. Come fa un ragazzo di 14 anni a condurre la propria vita?”

“Trovano una struttura in cui si sentono accolti e accuditi, talvolta per la prima volta” rincara Gianpaolo Bovio, preside dell’Istituto Arcadia che collabora con la Fondazione Sicomoro sui progetti di prevenzione della dispersione scolastica. “Il problema della genitorialità in molte di queste famiglie, indipendentemente dalla nazionalità, comincia dall’atto della nascita”.

I programmi di Save The Children, così come quelli della Fondazione Sicomoro e della Fondazione Albero della Vita, si basano sul creare una sinergia tra scuola, associazioni, ragazzi e famiglie. In tutti i casi l’elemento più problematico è rappresentato dalle famiglie: da quegli adulti che dovrebbero rappresentare la sicurezza, la cura e l’amore per questi bambini. E sono soprattutto i genitori italiani ad essere una zavorra per questi ragazzi già in condizioni di profondo disagio sia economico che sociale.

“Io quest’anno, ma anche storicamente nei quasi vent’anni di attività, le difficoltà maggiori le ho avute con gli italiani”, sostiene Padre Brambilla. Anche per quanto riguarda i casi seguiti dal progetto Fuoriclasse la coordinatrice non ha dubbi: “Le situazioni più difficili sono quelle delle famiglie italiane. Con le famiglie straniere a volte ci sono dei problemi di comunicazione dovuti alla lingua o per questioni culturali, gli italiani invece ci evitano e rendono molto più difficile arrivare”. “Per quello che ho osservato negli anni di lavoro”, fa eco Giuseppe Di Rienzo, della Fondazione Albero della Vita, “i ragazzi stranieri vedono in queste opportunità e nelle istituzioni scolastiche che le famiglie italiane purtroppo hanno perso. Probabilmente anche perché i genitori dei ragazzi italiani in alcuni casi hanno frequentato la scuola con insuccesso. Hanno più sfiducia nel sistema”.

Le due strutture di Save The Children attive a Milano sono a Quarto Oggiaro e a Certosa e aiutano 160 minori. Si tratta di un piano di supporto proposto ai minori che frequentano le classi IV e V delle primarie e II e III delle secondarie di primo grado ed è un tentativo di accompagnare i giovani studenti nei momenti di passaggio, i più delicati per chi è a rischio dispersione. La Fondazione Sicomoro con la sua Scuola della Seconda Opportunità invece quest’anno si dedica a 25 ragazzi che frequentano le scuole secondarie di primo grado del quartiere di Gratosoglio. La Fondazione Albero della Vita ha due progetti, Varcare la Soglia e Vivi ciò che sei, che coinvolgono più di 80 minori nei Municipi 2 e 6. Obiettivo di questi programmi è di aiutare i giovani beneficiari a superare l’esame di terza media, ma è anche quello di aiutarli a ricrearsi una fiducia.

Il lavoro di questi operatori è motivazionale, educativo, psicologico, è un martellamento continuo che va al di là dell’impegno scolastico. Tramite questi progetti di prevenzione dell’abbandono scolastico si tenta di “ri-alfabetizzare” questi ragazzi, non solo nel senso di dargli nozioni ma soprattutto conoscenza di sé.

Il vivere in contesti di periferia non aiuta certo. I dati Istat mostrano come i 15-52enni senza diploma di scuola secondaria di primo grado a Milano sono appena lo 0,4% a Tre Torri, ma se ci si sposta a Comasina la percentuale sale al 7,2%.

Anche i dati tratti dai test Invalsi testimoniano il divario nell’apprendimento scolastico. A Milano una distanza siderale di 15 punti Invalsi divide i bambini dei quartieri più svantaggiati da quelli che abitano a Magenta.

Ma se anche questi ragazzi riescono a portare a compimento il loro esame di terza media e vogliono continuare a studiare non è così scontato che il sistema li accolga. “Alcuni dei nostri ragazzi”, sottolinea Camilla Bianchi, “restano fuori dal sistema. Abbiamo avuto casi in cui nostri beneficiari, dopo la scuola secondaria di secondo grado volevano proseguire gli studi ma non sono stati presi dagli istituti in cui si volevano iscrivere. Questo è un fallimento anche rispetto a come è pensata la scuola”. Stesso esempio viene riportato anche dal preside Bovio e da Padre Brambilla, ad esempio loro hanno avuto diversi problemi nel far accettare alunni della Scuola della seconda opportunità nei professionali della città.E anche quando riescono a superare questo scoglio ci sono degli ostacoli che minano il lavoro che ha condotto i ragazzi con fragilità educative fino a quel punto. Come ci spiega Di Rienzo: “Quello che più di tutto rende espulsiva la scuola rispetto a questi ragazzi è la mancanza di preparazione psicopedagogica degli insegnanti”.

Un’esclusione di coloro che invece probabilmente avrebbe il maggior bisogno di entrare in contatto con contesti diversi e di vedersi apprezzati. Nel “IX Atlante dell’infanzia (a rischio). Le periferie dei bambini”, un rapporto annuale di Save The Children si evidenzia come a Milano vivono in aree “periferiche” il 43% dei bambini al di sotto dei 15 anni. Una fetta consistente della futura popolazione della città vive nei luoghi in cui la disuguaglianza sociale si percepisce di più, dove i servizi sono più carenti, la cultura fa più fatica a penetrare e dove è evidente anche la povertà spaziale.








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