Milano, una città affamata di futuro e orgogliosa della sua storia
Milano, l’unica metropoli mondiale tascabile. Ecco perché
La resa di Milano?
Ok. Certo.
Sono Milanottimista.
Gli ultimi anni hanno visto i primi vagiti della città che desidero da quando ho cominciato a lavorare: densa, intensa, piena di interessi diversi che sanno convivere, amante dello sviluppo, dei grattacieli, delle infrastrutture, delle fiere, dei grandi eventi.
Una città affamata di futuro, orgogliosa della sua storia e del suo ruolo globale: l’unica metropoli mondiale tascabile, l’unica grande città italia che non fu mai capitale di uno stato ma che sa di essere su più fronti leader incontrastata delle funzioni più pregiate (moda e design, manifattura 4.0, startup...).
E poi dai vuoi mettere com’è messa Roma?
Il nostro sindaco ci sta. Dal successo di Expo si è subito messo al lavoro, un mix azzeccato di etica ambrosiana e glamour internazionale (la foto con il collega di Londra post brexit ne è il sigillo visivo). Insomma una giunta testa bassa a gestire i disagi dei cantieri m4 e sguardo in alto a cercare un ruolo nel mondo.
Ok bene.
Ma io voglio di più.
Proprio per tutto questo confermato milanottimismo voglio più ambizione. Siamo pronti e ci sono tutte le condizioni per chiedere maggiori spazi di manovra. Abbiamo bisogno di un nuovo forte obiettivo dopo Expo 2015.
Il Patto per Milano firmato con il governo italiano al ritorno dalle vacanze estive non riesce ad esaltare un tifoso delle città.
Va bene l’esercizio di mettere in una tabella le risorse (poche, un centinaio di milioni) messe dai fondi nazionali su nuove infrastrutture per milano.
Va bene sottolineare l’esigenza di cercare per il prossimo futuro altre risorse (per ora vaghissime) e studiare (ancora?) eventuali modalità per garantire (quando?) vantaggi fiscali a chi si insedierà nell’area expo (ma non bastava come dico dal 2012 pensare di prolungare gli effetti dell’accordo di sede?).
Ma nel patto per Milano non c’è traccia di una necessaria richiesta di autonomia che le nostre istituzioni locali e il nostro sistema di aziende e professionisti meritano e devono immaginare per il futuro.
Dovremmo chiedere di gestire noi il post Expo.
Dovremmo chiedere non fondi dall’alto, ripartizioni di somme raccolte dal governo italiano o comunitario, ma compartecipazioni alle entrate tributarie (per esempio una parte dell’iva generata dal territorio).
Insomma io la chiamo Milano città stato, ma chiamiamola come vogliamo. Prendiamoci in mano il nostro futuro o sarà un rincorrere piccoli obiettivi di manutenzione del presente perdendo lo slancio unitario che aveva dato l’esposizione universale.
Che non sia una resa ma un nuovo slancio.
Insieme istituzioni, associazioni, aziende e cittadini ce la possiamo fare.