Politica

"C'è bisogno di Europa": la visione delle donne contro gli stereotipi

Verso le elezioni europee: Diana Bracco e le esperte di politica internazionale riunite all’ISPI dal progetto "100 donne contro gli stereotipi"

di Lorenzo Zacchetti


Le donne e l’Europa. Due temi che caratterizzano il dibattito politico e culturale si sono incontrati nell’evento organizzato all’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) nell’ambito del progetto 100 donne contro gli stereotipi.

 

L’iniziativa è partita nel 2016, ideata dall'Osservatorio di Pavia e dall'Associazione Gi.U.Li.A. giornaliste, sviluppata con Fondazione Bracco e grazie al supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea per promuovere le eccellenze italiane. Lo scopo di 100 donne contro gli stereotipi consiste proprio nel valorizzare i talenti e le expertise femminili, per invertire un trend che vede le donne sottorappresentate nei media, che spesso le coinvolgono solo per testimonianze generiche, di secondaria importanza e/o in forma anonima.

Da qui l’esigenza di costruire database (in continuo aggiornamento) di donne esperte in argomenti di rilevanza sociale, che si è tradotta nella pubblicazione dei primi due libri sulle donne con riconosciute competenze nel campo della scienza e poi in quello dell’economia e della finanza.

“Perché l’Europa? La parola alle esperte” è il titolo dell’evento nel quale si è lanciato il terzo database, composto da esperte di politica internazionale. Decisamente di elevato profilo il livello dei panel che si sono alternati a Palazzo Clerici, sede milanese dell’ISPI, dove il vicepresidente esecutivo Paolo Magri ha fatto da padrone di casa, per poi cedere il passo alle donne.

Luisella Seveso, dell’Associazione Gi.U.Li.A., ha riepilogato le fasi precedenti del progetto e le tappe seguite per costituire una piattaforma online di profili di esperte in settori chiave per lo sviluppo della società. Sul sito 100esperte.it sono disponibili non solo i nomi delle donne selezionate, ma anche i criteri che hanno condotto a queste scelte.

Beatrice Covassi, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, ha sottolineato come nelle discussioni sull’Europa spesso vengano citati i “padri fondatori”, dimenticandosi però delle “madri fondatrici”. Un’omissione nella stessa scia di problematiche piuttosto evidenti come il gender pay gap: “Eppure già il Trattato di Roma parlava del diritto ad un’uguale retribuzione per un’uguale prestazione lavorativa”, ha osservato Covassi. “Nel Parlamento Europeo, le donne sono solo il 36%. Anche nella Commissione Europea rappresentano una minoranza. In vista delle prossime elezioni europee dobbiamo quindi auspicare che le donne non si limitino ad andare a votare, ma anche che si rendano eleggibili. L’apporto delle donne alla politica può essere fondamentale. Non solo per le questioni di genere”.

Dopo questa parte introduttiva, si sono alternati quattro panel tematici.

Sul tema delle istituzioni, hanno dialogato con Marilisa Palumbo (giornalista de “Il Corriere della Sera”) Marta Dassù, Senior Director, European Affairs dell’Aspen Institute, e Nerina Boschiero, Preside della Facoltà di Giurisprudenza all’Università Statale di Milano.

La Prof.ssa Boschiero ha spiegato come l’attuale clima di euroscetticismo sia alimentato dalle paure che serpeggiano nella società: immigrazione, disoccupazione, i pericoli che corre l’ambiente, la necessità di un governo etico del mondo digitale e quella di una difesa efficace sono le principali.

“Tuttavia, sono proprio questi temi a richiamare un ruolo forte dell’Europa, perché la dimensione nazionale (o ‘sovrana’) non basta più per trovare delle soluzioni. Il sovranismo è un’idea falsa, in un mondo fortemente globalizzato”, ha commentato. “Mi viene da sorridere quando Steve Bannon propone una ‘nuova’ visione dell’Europa, non più federalista, ma con Stati sovrani che si coordinano tra loro: è la stessa idea dell’Ottocento, nel quale abbiamo visto che al venir meno del coordinamento corrisponde lo scoppio della guerra. Semmai, possiamo dire che di Europa fino ad ora ce ne è stata troppo poca. Ad esempio sul tema dell’immigrazione: l’Europa ha agito contro le sue stesse basi fondative, ovvero l’art. 2 del Trattato”.

Marta Dassù nel suo intervento ha toccato tre questioni fondamentali: “La cosa più importante è che queste elezioni sono le prime di carattere veramente europeo da molti anni a questa parte, perché fino ad ora si era trattato di una somma di questioni nazionali che andava a comporre un quadro continentale. Su questo tema, invito a leggere con attenzione la lettera di Macron sull’Europa da difendere e nel contempo da cambiare: non è l’unico punto di vista (quello tedesco ad esempio è differente), ma va necessariamente preso in considerazione. La seconda questione è l’opinione pubblica, che è rimasta scioccata dal modo in cui è stata gestita la crisi economica scoppiata nel 2008 e poi anche quella dei migranti. Saper difendere i propri confini è imprescindibile, mentre l’opzione dell’uscita dall’Europa crea solo problemi, come dimostra la Brexit. Anzi: possiamo dire che il miglior testimonial dell’Unione è proprio il Regno Unito, che con le sue difficoltà e contraddizioni ci fa vedere chiaramente quale sia l’alternativa. Il terzo punto riguarda la difesa: credo che la soluzione migliore sia quella con un po’ di NATO (tuttora necessaria) e un po’ d’Europa. Bisogna però affrontare una serie di problemi, come la questione nucleare: la Francia ce l’ha, l’Europa deve ancora prendere una posizione”. Infine, Dassù ha osservato: “Il tema delle donne fa parte delle tante diseguaglianze che l’Europa deve farsi carico di risolvere”.

Il secondo panel si è occupato di economia.

Veronica De Romanis, Docente di Politica Economica alla Stanford University e alla LUISS, ha suddiviso il suo intervento in tre parti: cosa è stato fatto, quali risultati si sono ottenuti e cosa bisogna fare adesso.
“Tra le principali cose fatte”, ha esordito, “c’è sicuramente il salvataggio di cinque Paesi: Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro. Non era scontato che ciò avvenisse: anzi, nei trattati europei è espressamente vietato dalla ‘No Bail Out Clause’. Tuttavia, questa stessa clausola prevede che si intervenga se c’è un rischio di collasso sistemico. Inoltre sono stati introdotti il Fondo Salvastati, l’OMT (potente strumento per abbassare lo spread, perché consente alla BCE di comprare in maniera illimitata) e il Quantitative Easing, passato nonostante il voto contrario della Germania… anche se qualcuno dice che l’Europa è schiava della volontà tedesca”. Che effetti ha prodotto questo complesso di interventi? “I Paesi salvati sono quelli che crescono di più. Cresce anche l’area dell’Euro nel suo complesso ed è proprio l’Italia l’unico Paese in recessione. Il nostro problema non ha niente a che fare ne’ con l’Europa, ne’ con la moneta unica”. Quali dovrebbero essere i prossimi passi? “C’è chi parla della necessità di rifondare l’Europa, ma non mi è chiaro che cosa intendano. Semmai sarei per rafforzarla, ad esempio introducendo una garanzia unica dei depositi o l’Eurobudget, come suggerito da Macron”. In chiusura del suo intervento, De Romanis ha osservato: “Mi colpisce che nessun partito politico si stia facendo carico di rispondere all’esigenza di aumentare l’occupazione femminile: è un problema molto sentito e che quindi potrebbe anche generare notevole consenso”. 

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Sui temi economici è intervenuta anche Laura Bottazzi, Professoressa ordinaria di Economia Politica all’Università di Bologna e ricercatrice IGIER Bocconi: “L’idea originaria dell’Europa era il risk-sharing: ci aiutiamo vicendevolmente in caso di shock idiosincratico. Ma quello del 2008 è stato uno shock globale e, nelle difficoltà, sono emerse le diverse impostazioni dei Paesi membri, facendo venire i nodi al pettine”.

La Prof. Bottazzi ha anche criticato il livello di education delle Università italiane: “Bisognerebbe incentivare le ragazze a impegnarsi in campo scientifico, ma in effetti gli stereotipi incidono ancora molto. Una ricerca dimostra come il rendimento scolastico dei figli sia maggiormente legato al ruolo della madre che a quello del padre e che esso migliora se la madre lavora. Proprio perché l’ambiente incide e condiziona, bisognerebbe sviluppare quella politica industriale che all’Italia manca da vent’anni. A livello europeo, inoltre, ci vorrebbe una politica fiscale comune”.

Il terzo panel ha avuto come tema la cultura.

Ad aprirlo è stata Erminia Sciacchitano, Chief Scientific Adviser European Year of Cultural Heritage: “Il Trattato di Lisbona, pur non inserendo le radici giudaico/cristiane come fondamento dell’Europa, ha comunque rafforzato il peso della nostra identità culturale. Tuttavia, un terzo degli europei non partecipa ad alcuna attività culturale. L’Italia è uno dei Paesi dove la partecipazione è più bassa, dato che contraddice l’immagine del Bel Paese come culla del patrimonio artistico e culturale: solo un italiano su quattro va a visitare almeno un sito culturale all’anno. Nei Paesi Scandinavi la partecipazione è invece dell’80%, il che suggerisce la necessità di politiche atte a incentivarla”.

Annalisa Monfreda, Direttrice del periodico “Donna Moderna”, ha invece esaminato il fenomeno culturale del #metoo: “In Italia non ha attecchito più di tanto a causa degli stereotipi che esistono sul mondo dello spettacolo. Inoltre, il pubblico ha manifestato una certa incapacità di identificazione con gli episodi che venivano citati: le molestie ci sono anche da noi, ma in contesti molto diversi da quelli che sono finiti sulle cronache. Inoltre, l’impostazione del #metoo è stata molto polarizzata tra la figura dell’uomo-carnefice e della donna-vittima: questo ha impedito non solo di ‘portare a bordo’ gli uomini, cosa che invece sarebbe fondamentale in qualunque politica di enpowerment femminile, ma ha tenuto lontane anche alcune donne che non si riconoscevano nell’immagine della vittima. Io come giornalista preferisco dare spazio ad eventi come quello di oggi, ovvero ad un reale enpowerment della donna”.

Il quarto panel si è incentrato su scienza e istruzione.

Cristina Messa, Rettrice dell’Università Bicocca di Milano, ha parlato del progetto Erasmus come uno degli aspetti più positivi dell’Europa: “La richiesta è superiore alle disponibilità e l’Italia è il quinto Paese per numero di scambi. L’eccezione è il Regno Unito, che accoglie gli studenti ma non ama ‘esportarli’. L’esperienza dell’Erasmus conferisce quelle soft skills che sono fondamentali nel mondo del lavoro. Gli unici un po’ reticenti sono i docenti, i quali temono che all’estero non ci sia lo stesso tipo di preparazione, ma quando ne fanno esperienza poi lo apprezzano”. Sulla ricerca scientifica ha aggiunto: “Dal 1984 esiste un programma europeo, che è cresciuto nel tempo. L’Italia è tra i Paesi fondatori, ma negli ultimi anni gli investimenti sono calati in maniera notevole”.

L’ex ministro della Giustizia Paola Severino, dal 2018 Vicepresidente della LUISS, ha aggiunto: “Ci vuole reciprocità tra le istituzioni. Noi facciamo programmi sintonici con il resto d’Europa e questo ci dà buoni risultati. Nel mio ruolo ho la delega all’internazionalizzazione, un tema che ritengo fondamentale anche per la mia storia personale e per il tipo di educazione che ho ricevuto. E’ difficile affermare questi concetti in un Paese nel quale non si insegnano a sufficienza le lingue straniere, ma il dialogo culturale è fondamentale anche per le relazioni politiche. Il tema della digitalizzazione, di stretta attualità, rappresenta un’ottima opportunità anche per le donne, incentivando il lavoro da remoto. Dobbiamo evitare la fuga dei cervelli e magari rimettere il bilancio in pari, approfittando delle opportunità fornite dalla Brexit”.

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Diana Bracco, Presidente della Fondazione Bracco, ha aperto il suo intervento auspicando che la politica “dia il messaggio che la ricerca è fondamentale per la crescita economica”. I suoi closing remarks hanno colto molti degli spunti emersi nei panel, mescolandoli a suggestioni sia sulla questione femminile che sulla politica in generale: “Com’è possibile che il nostro continente stia vivendo una crisi d’identità così drammatica? Cosa si può fare per cambiare l’Unione e per ridare fiducia ai cittadini in un progetto che ha garantito al continente una pace duratura? Tra pochi mesi milioni di cittadini verranno chiamati a pronunciarsi sul rinnovo delle istituzioni europee: ci è sembrato quindi il momento giusto per mettere insieme esperte di geopolitica, di relazioni internazionali, di scienza, cultura e media, per farci raccontare la loro visione del futuro dell’Europa. Un futuro al quale le donne devono offrire un contributo decisivo. La scienza, del resto, ha dimostrato che se viene garantito un corretto equilibrio di genere si prendono decisioni migliori. Anche per questo ci auguriamo che le donne vengano sempre più ascoltate e coinvolte ai massimi livelli. Diciamolo: ci vogliono più donne nei posti chiave perché l’Europa funzioni meglio. Personalmente sono convinta che nessun Paese e nessuna azienda possa permettersi di rinunciare al nostro contributo. Credo infatti che in ambito professionale le donne abbiano qualità vincenti come l’intuito, la tenacia, la disponibilità all’ascolto, la concretezza, la curiosità e la voglia di non smettere mai di imparare".

"Sul potenziale femminile si deve quindi investire, impegnandosi nella lotta contro ogni tipo di condizionamento e di discriminazione. Noi di Bracco lo facciamo: nel nostro Gruppo le donne sono oltre il 40%; il 36% nel caso di ruoli di responsabilità manageriale. Come abbiamo fatto? Creando un contesto di lavoro in cui le donne si possano esprimere senza dover rinunciare al proprio ruolo nella vita familiare, e sviluppando una politica volta a garantire le pari opportunità nei percorsi professionali. L’innovazione deve continuare a essere il cardine della strategia dell’UE per favorire la crescita e creare occupazione. Nel nuovo programma Horizon Europe, che ha previsto un importante aumento delle risorse dal precedente programma Horizon 2020 e che dovrebbe raggiungere un budget di 100 miliardi di euro nel periodo 2021/2027, è ben chiara l’intenzione della Commissione di favorire la nascita di cluster scientifici di alto livello e di realizzare uno spazio europeo della ricerca, nel quale i ricercatori e le ricercatrici possano lavorare in qualsiasi paese dell’Unione all’insegna dell’open innovation. Obiettivi che anche da vicepresidente di Confindustria per R&I ho sempre sposato e perseguito. Pochi giorni fa ho avuto un proficuo scambio con il Commissario Moedas proprio su questi temi, e ho colto l’occasione per raccontargli in particolare dello sviluppo di MIND (Milan Innovation District) nell’ex area Expo, dove sta sorgendo lo Human Technopole”.

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