Politica
Elezioni politiche 2018: Renzi, se ci sei batti un colpo
L’affaire Banca Etruria-Boschi può tradursi nel colpo di grazia di una situazione già sul piano inclinato
Al Nazareno, a due mesi e mezzo dalle elezioni politiche di marzo, c’è la bonaccia che precede la tempesta passando dalla baldanzosa arroganza di chi è certo di avere tutto alla disastrosa condizione di smarrimento di chi teme di rimanere presto con un pugno di foglie secche. L’affaire Banca Etruria-Boschi può tradursi nel colpo di grazia di una situazione già sul piano inclinato, con il Pd ai minimi storici nei sondaggi elettorali e con il crollo del tesseramento, sotto i 90 mila iscritti rispetto ai 400 mila di un anno fa.
Di qui il panico di Renzi e del suo Giglio magico, inchiodati nella difesa ad oltranza della Boschi senza uno straccio di idea che prefiguri una proposta di rilancio politico, il colpo d’ala capace di rompere l’accerchiamento e di uscire dalle sabbie mobili. Da settimane i sondaggi tracciano una tendenza: la discesa-debacle del Partito democratico, ben sotto il 25% dei voti; l’ascesa del centrodestra con Forza Italia locomotiva di una coalizione vicina alla maggioranza; la conferma del peso elettorale del M5S, primo partito pur se sotto il 30%; l’ingresso nell’arena di Liberi e Uguali, capace di erodere il Pd ma lontano dal traguardo del 10%; lo zoccolo duro dell’astensionismo che ribadisce la delusione e lo smarrimento degli italiani.
Una situazione che – se confermata – pone interrogativi sulla possibilità di formare dopo il voto una solida maggioranza di governo, ma indubbiamente un quadro oggi assai diverso da quello di un anno e mezzo addietro quando il Pd veleggiava ben oltre il 30%, con Renzi ideal-leader e con il centrodestra spezzatino che seguiva staccato, con Berlusconi considerato “out”. Non serve un veggente per capire come finirà: con il centrosinistra in crisi, all’opposizione; con il ko di Renzi e del suo Pd; con una sinistra da testimonianza ma politicamente irrilevante. I litigi, le divisioni, le scissioni sono state e sono l’iceberg di una crisi politica profonda, accentuata da limiti, incomprensioni e caratteristiche personali dei vari personaggi, Renzi in testa. Ma il nodo era e resta politico, in quella “amalgama mal riuscita” che impastò gli ex Pci e parte degli ex Dc senza una analisi critica e autocritica sui fallimenti di quei partiti e sui suoi leader, alcuni dei quali fondatori del nuovo soggetto politico e tutt’ora in sella. Poi una incapacità del Pd (e della sinistra) nel fare politica, nel comprendere l’aria che tira, nel formulare proposte credibili per affrontare situazioni di crisi non solo nazionali e non solo di carattere economico.
Renzi, l’intuizione per voltar pagina l’ha avuta, ma, incapace di una sua “rivoluzione culturale” si è limitato alla “rottamazione”, un escamotage per farsi strada e conquistare il partito grazie alla sua “brillante” gestione nelle primarie e alla ingenuità dei suoi competitori. Ma senza un progetto, un programma, una cultura politica quel disegno si è dimostrato per quello che è, scoppiando come una bolla di sapone. Una identità fallita (quella del comunismo anche Made in Italy) andava sostituita con un’altra identità, inedita, costruita nel pulsare della società, non nelle conventicole-passarella delle Leopolde, adeguata ai tempi nuovi, altrimenti il nuovo partito non è solo “liquido” ma diventa un partito “liquidato”.
Oggi, non volendo o non potendo dare il benservito a Renzi (definito da D’Alema “capo di un gruppo di potere spregiudicato”) e al suo Giglio magico, questo Pd si avvia, anche a causa di una legge elettorale da auto castrazione, a perdere rovinosamente le elezioni e andare alla deriva, lasciando l’Italia in mano a non si sa chi e per fare che cosa. Renzi, il Pd e il suo governo devono fare “mea culpa” perché i nodi veri non sono stati sciolti e neppure si è provato a scioglierli. La stessa legge di bilancio, oramai in dirittura d’arrivo, rischia di essere l’ennesima occasione persa per dare un segnale di rinnovamento, frammentata in mini interventi, senza una strategia anti recessione di fondo, senza interventi strutturali incisivi rispetto al fisco e alla lotta all’evasione, alle norme del pacchetto lavoro (così si allargano le disuguaglianze) lasciando scoperti settori essenziali quali la sanità pubblica (c’è addirittura una ulteriore riduzione della quota di Pil destinata alla sanità da qui al 2020), con contentini (vedi il raggiunto accordo sul contratto degli statali) e “mance” (vedi gli aumenti ai pensionati).
Ma non è solo una questione di legge di bilancio. Manca il punto di riferimento generale, mancano le fondamenta di un progetto politico su cui ricostruire il nuovo. Come cambiare volto e sostanza a questa Italia che continua a perdere colpi, ad accumulare ingiustizie e parassitismi, alimentando sfiducia, rancori, divisioni, senso di smarrimento politico e sociale, persino paure. Tanti i nodi e non facili da sciogliere. Non servono bacchette magiche. Serve però dimostrare di avere consapevolezza dei problemi reali chiedendo a tutti di mettersi ai remi. Per chiedere questo sforzo serve autorevolezza, credibilità, capacità, volontà di unire e non dividere. Se Renzi ha ancora un’ultima carta da giocare, la giochi subito, annunciando agli italiani la “svolta”, dicendo chi ci guadagna e chi ci perde. Matteo deve parlare senza la sua usuale boria, presentandosi con la cenere in capo e i ceci sotto le ginocchia.