Politica

Gli errori di marketing di Salvini. O cambia strategia o perde ancora

Che cosa insegnano i risultati del voto in Emilia Romagna

A cura di Alessandro Amadori, politologo e ricercatore sociale

Alle elezioni regionali di domenica scorsa, in Emilia-Romagna il presidente uscente Stefano Bonaccini è stato riconfermato con il 51% abbondante, la sfidante di centro-destra Lucia Borgonzoni si è fermata a un pur sempre ragguardevole quasi 44%, il pentastellato Simone Benini non ha raggiunto il 4%, agli altri candidati sono andate frazioni di punto percentuale. Come spiegare questo risultato? Il punto di partenza è considerare che risultati avevano ottenuto le forze a sostegno dei tre principali candidati, alle elezioni europee dello scorso anno. Si tratta della comparazione più ragionevole da fare, per comprendere le dinamiche di questa particolare elezione regionale.

A maggio 2019, le forze di centro-destra a supporto di Borgonzoni avevano raggiunto il 45% circa, quelle a supporto di Bonaccini il 43% circa, mentre il Movimento Cinque Stelle aveva fatto il 13%. Un dato dunque balza subito all’occhio: Borgonzoni ha sostanzialmente confermato il proprio bacino elettorale di partenza, o se si preferisce lo schieramento a suo supporto, nel complesso, non è né cresciuto né calato, in termini di quota di mercato (sto infatti parlando delle percentuali o appunto “quote di mercato”, e non del numero assoluto di voti, consapevole dei limiti di questa analisi; d’altra parte, nel marketing, compreso quello politico-elettorale, alla fine è la quota di mercato ottenuta quella che conta). Viceversa, Bonaccini ha preso circa otto punti in più, in quota di mercato, rispetto al potenziale dello schieramento a suo sostegno, mentre Benini, fermatosi come detto al 4% scarso, ha subito un indebolimento proprio del partito di supporto, che ha fatto 9 punti percentuali in meno rispetto alle europee. Si potrebbe dunque dire, anche solo ragionando a occhio sulle quote di mercato, che a determinare il risultato non è stato un calo nel sostegno a Borgonzoni, bensì una robusta iniezione di voti che sono andati a sostegno di Bonaccini. Voti che, già a occhio, si vede che provengono dai Cinque Stelle, sia come voto al presidente sia come voto al Pd. C’è stato insomma un travaso di voti da M5S a Pd. Questo ha fatto la differenza.

L’analisi quantitativa dei flussi certifica questa intuizione a occhio. La vittoria di Stefano Bonaccini è arrivata non solo grazie alla conferma dei voti del centrosinistra, ma anche per il sostegno di ex astenuti e M5s. Quindi il presidente uscente è riuscito ad allargare il suo campo, mentre la leghista Lucia Borgonzoni non è andata oltre il centrodestra e ha perso un po’ in astenuti e un po’ in M5S. E’ questa l’analisi dei flussi di voto alle Regionali dell’Emilia-Romagna da parte di Swg.

In chiave di dinamiche motivazionali e comunicative, che cosa è accaduto nel corpo elettorale emiliano-romagnolo? La mia impressione è che la strategia molto “captive” adottata da Matteo Salvini, costruita sul concetto di una grande forza sì popolare, ma comunque contro tutto il “sistema” emiliano-romagnolo, abbia provocato una reazione di aggregazione appunto di tutti coloro che non si riconoscono nell’offerta politica della Lega e dello stesso Salvini. Insomma, è come se tutti i concorrenti di una “marca” (il binomio Salvini-Lega) si fossero coalizzati contro la marca in questione. In un mercato fatto da tre marche principali, due si sono di fatto “alleate”, nel comportamento degli elettori, per bloccare la terza, che voleva diventare leader assoluta del mercato. È il classico schema dei sistemi tripolari, quando uno dei tre contendenti  decide di polarizzare molto l’attenzione: gli altri due si alleano fra di loro appunto per bloccarlo. Per fare un esempio ormai classico, è quello che succede nel passaggio dal primo al secondo turno, nelle elezioni presidenziali francesi: Marine Le Pen è la più forte al primo turno, ma al secondo perde per la convergenza dei due elettorati concorrenti. Nel caso emiliano-romagnolo, è anche probabile che le Sardine abbiano fatto da catalizzatore di questo processo, galvanizzando e richiamando al voto l’elettorato di centro-sinistra deluso o astenuto in precedenza.

Questo, in conclusione, significa che Matteo Salvini farebbe meglio a rimodulare la sua strategia di comunicazione, per i prossimi appuntamenti elettorali, cercando per così dire di “rompere l’accerchiamento” e di ampliare il perimetro di elettorato della Lega e più in generale dello schieramento di centro-destra? In chiave di marketing politico-elettorale, la risposta è: sì, sicuramente sì. Se poi questa sarà anche la decisione politica vera e propria, a prescindere dalle sole considerazioni di marketing politico-elettorale, lo sapremo ai prossimi appuntamenti elettorali. Nel frattempo, quanto è avvenuto in Emilia-Romagna, in termini di meccanismi che hanno determinato l’esito del voto, appare ormai chiaro.