Politica
L'Ungheria attacca l'Italia: ”Deplorevole la decisione di riaprire i porti"
E' "deplorevole e pericolosa" la decisione dell'Italia di riaprire i porti ai migranti. Lo ha detto il ministro degli Esteri ungherese, Szijjarto, alla tv M1.
Secondo il capo della diplomazia di Budapest, tutte le decisioni che prevedono un'apertura dei confini europei ai migranti sono deplorevoli, compresa dunque quella del governo italiano, ma l'Ungheria continuerà a difendere le sue frontiere. E la decisione italiana di riaprire i porti viene contestata anche perché vogliono distribuire i migranti fra vari Paesi Ue: si tratta di un altro tentativo di esercitare pressioni sui Paesi membri perché venga approvato il principio di quote obbligatorie di migranti, che "noi respingiamo". "L'Ungheria - ha scandito Szjjarto - non accetterà alcun tipo di quota e difenderà i suoi confini con tutti i mezzi".
Di Maio: strumentale giudizio Ungheria su Italia
“Il giudizio espresso dal governo ungherese è del tutto strumentale. L’Italia da anni vive un’emergenza causata anche e soprattutto dall’indifferenza di alcuni partner europei come l’Ungheria. E’ facile fare i sovranisti con le frontiere degli altri. Chi non accetta le quote deve essere sanzionato duramente". Lo afferma il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in una nota diffusa dalla Farnesina. "L’Italia non può e non si farà più carico da sola di un problema che riguarda tutta l’Ue", afferma ancora il capo della diplomazia italiana. "Nei Paesi di transito vanno istituiti degli uffici europei nei quali i migranti possano presentare richiesta di asilo in modo da poter essere poi trasferiti in Europa – e non solo in Italia – attraverso un corridoio umanitario. In questo modo si mette fine all’inferno dei trafficanti di uomini e dei barconi e ognuno si assume le sue responsabilità”, conclude Di Maio.
MIGRANTI, AMENDOLA: 'ITALIA PROPOSITIVA, NO ULTIMATUM'
Anche in tema di politiche migratorie, l'Italia ha un "approccio propositivo, non ultimativo". E, anche se abbiamo sempre avuto un atteggiamento "molto netto" sulla condizionalità, cioè sul legame tra l'erogazione dei fondi Ue agli Stati membri e la partecipazione dei medesimi Paesi a schemi di redistribuzione dei migranti salvati in mare, "io parlo anche di incentivi" che favoriscano questa partecipazione. Così il ministro degli Affari Europei Enzo Amendola risponde, a Bruxelles a margine del Consiglio Affari Generali, alle domande dei cronisti sulla possibilità che il principio della condizionalità passi nel prossimo Mff, il bilancio pluriennale dell'Ue che si sta negoziando. Perché il principio della condizionalità passi, però, serve l'unanimità, difficile se non impossibile da ottenere, visto che i Paesi del gruppo di Visegrad si opporrebbero
"Sui migranti - dice Amendola - c'è da ragionare. Credo sia giusto ragionare sulle migrazioni come una sfida strutturale, che riguarda anche la dimensione esterna, quella interna e le condizionalità". "La posizione italiana - continua Amendola - è anche investire sugli incentivi a far sì che ci sia una politica strutturale sulle migrazioni più funzionale. Ci sono vari capitoli del bilancio ai quali si possono applicare delle modifiche".
Ma il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha auspicato la settimana scorsa penalizzazioni finanziarie per i Paesi che non partecipano alla redistribuzione: "Dico - spiega Amendola, a chi gli obietta che sta dicendo una cosa diversa dai concetti espressi dal premier - che riguarda vari elementi del bilancio comunitario parlare di migrazioni. L'approccio italiano è sempre propositivo, non ultimativo". "Questo ragionamento non urlato, ma molto propositivo - aggiunge Amendola - credo che convincerà anche altri Paesi, se l'alleanza si muove in maniera intelligente e se condivide con tutti una politica inclusiva". "L'Italia - conclude - ha sempre espresso sulla condizionalità un giudizio molto netto, ma io parlo anche di incentivi. Nella programmazione dei prossimi sette anni questo tema toccherà vari punti del bilancio e su questo possiamo muovere nuove proposte".
Il fatto che il premier e il ministro degli Affari Europei usino accenti leggermente diversi su questo tema dipende probabilmente dal fatto che una sintesi in materia non sarebbe ancora stata ancora trovata tra i due partiti della maggioranza. Partiti che sono alleati da poco e che hanno a loro volta, al proprio interno, sensibilità differenti. A quanto si apprende, in ogni caso, l'obiettivo dell'Italia resta il medesimo: scardinare il principio chiave del regolamento di Dublino, cioè che gli oneri legati all'accoglienza, all'esame e all'eventuale rimpatrio dei migranti sono a carico del Paese Ue di primo arrivo.
Il nostro Paese spinge perché ci sia un accordo che consenta di suddividere gli oneri connessi ai migranti salvati in mare e sbarcati sulle nostre coste. In vista del vertice ministeriale di Malta della settimana prossima, le posizioni su questo punto restano distanti: il segretario di Stato francese Amélie de Montchalin oggi ha detto chiaramente che "bisogna che i Paesi di primo arrivo permettano lo sbarco dei migranti" e che si occupino di "studiare la situazione di queste persone, in modo che possiamo sapere chi sono".
Solo dopo, per la Francia, si può provvedere alla redistribuzione tra i Paesi della 'coalizione dei volenterosi' (a Malta ci saranno anche Italia, Francia, Germania, Spagna e Cipro). L'Italia chiede una cosa diversa: a prescindere dalle modalità tecniche, che può essere una rotazione dei porti di sbarco tra i Paesi rivieraschi del Mediterraneo oppure un immediato trasferimento dei migranti sbarcati sulle nostre coste verso i Paesi che accettano di accoglierli (la Germania non ha porti sul Mediterraneo) oppure ancora altre soluzioni, l'essenziale è che l'accertamento dell'identità della persona sbarcata e l'esame del diritto del richiedente asilo di riceverlo o meno sia a carico del Paese che partecipa alla redistribuzione, e non dell'Italia.
Una volta che passasse questo principio, ma non è affatto facile farlo passare, e che ci fosse un accordo in questo senso, allora anche la riforma di Dublino diverrebbe meno urgente, perché nei fatti sarebbe già depotenziato il suo principio cardine. E allora, solo allora, si potrebbe rivedere l'impostazione di fondo della politica migratoria; invertire la rotta senza avere uno schema di accordo sulla redistribuzione da mettere sul piatto, comporterebbe rischi politici evidenti a chiunque. Invece un accordo di redistribuzione, che però non è facile da ottenere, toglierebbe armi all'arsenale oratorio del principale partito di opposizione.
La sensazione che si raccoglie a Bruxelles è che difficilmente il vertice di lunedì prossimo a Malta sarà risolutivo: servirà probabilmente ad avvicinare un po' le posizioni in vista del Consiglio Europeo di ottobre, che tuttavia verterà probabilmente su Brexit. L'Italia, inoltre, sulla condizionalità e sulle sanzioni è tradizionalmente cauta, come pure sulla tentazione, che si avverte qua e là, di procedere a maggioranza qualificata. Condizionare la distribuzione dei fondi di coesione al ricollocamento dei migranti,
poi, potrebbe rivelarsi rischioso, perché potrebbe aprire la strada ad altri tipi di condizionalità, magari legati al rispetto delle regole del patto di stabilità. Inoltre, tradizionalmente l'Italia ha sempre considerato le sanzioni e l'approccio punitivo come extrema ratio. Si lavora, quindi, con l'obiettivo di far passare il principio della redistribuzione 'a monte' della separazione tra rifugiati e migranti economici (sulla legittimità della quale, peraltro, non tutti concordano), e non 'a valle' della stessa, in modo da ripartire gli oneri tra gli Stati membri che sono disposti a partecipare ad un accordo intergovernativo in questo senso. Tuttavia tra i Paesi che intendono partecipare a questo sforzo di solidarietà ad oggi restano divergenze, come è evidente dalle parole del segretario di Stato francese. Quindi, si lavora per formare un consenso, che al momento ancora non c'è.