Mattarella non dice ciò che serve all’Ue: federalismo e politiche industriali
Mattarella dice che i Trattati vanno riformati
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella di fronte al Parlamento in seduta comune ricorda i 60 anni dei Trattati di Roma, dice che i trattati – a partire da quello di Lisbona - vanno riformati, che le sfide sono quelle delle migrazioni, della finanza e della divisone interna, ma si dimentica i due elementi più importanti che possono salvare l’Ue – anche dopo Brexit –: federalismo e politiche industriali.
Il federalismo è la base della democrazia. Si guardi a quella statunitense: gli Usa furono modello dei padri fondatori dell’Ue che sognavano gli Stati Uniti d’Europa. L’individuo è la democrazia. Egli deve scegliere, quasi conoscere di persona (elezione diretta, micro collegi) i suoi rappresentanti nelle istituzioni (anche i giudici). Lui lavora sul suo territorio, paga le tasse e vuole che esse siano destinate al suo territorio (federalismo fiscale). Tutto questo è federalismo. Ciò valga per l’ Unione europea.
Seconda questione: politica industriale. La Comunità economica europea nacque per il libero mercato, uno slancio formidabile che via via ha giovato alle economie dei sempre più Stati aderenti: dai sei del 1957 ai 27 di oggi. Poi l’atteggiamento si è fatto difensivo: anche a causa della crisi del 2008, l’Unione è diventata quella delle norme, della burocrazia, dei controlli. Ciò si spiega anche con lo scarso budget: appena l’1% del Reddito nazionale lordo dei Paesi membri e così si capiscono gli investimenti meno costosi in innovazione, Ricerca e Sviluppo ecc. ecc. e non in strutturali politiche industriali: e di qui la cronica disoccupazione. Per completezza, l’euro in tutto ciò non c’entra: la moneta non determina le politiche industriali.