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Palazzi & potere
Abusivismo edilizio, come evitare la prossima tragedia annunciata

Dopo il terremoto che ha colpito l’isola di Ischia lunedì 21 agosto, in molti hanno sostenuto che fra le cause dei crolli di diverse abitazioni ci siano gli abusi edilizi perpetrati negli anni. Sarebbero, in poche parole, crollate le case costruite illegalmente, con materiali scadenti e senza rispettare le norme di sicurezza previste dalla legge.
 
A supportare questa tesi esistono dei fatti incontrovertibili: Ischia è uno dei luoghi in Italia con la più alta concentrazione di abusivismo edilizio. Secondo il rapporto Ecomafie 2017 di Legambiente, nell’isola ci sono circa 600 edifici in attesa di essere demoliti, mentre sono 27 mila le domande di condono esaminate. E stiamo parlando di una realtà territoriale con una superficie che supera di poco i 50 km quadrati. Ma perché fermarci qui. L’Istat, nel rapporto annuale Benessere Equo e Sostenibile ha concluso che nel 2008 era abusivo il 9,3% delle nuove costruzioni ad uso residenziale, mentre nel 2015 si è sfiorato il 20%.
 
Il fenomeno produce all’incirca 20 mila case ogni anno, con drammatica vivacità nel Sud Italia tanto da stimare che tra Molise, Campania, Calabria e Sicilia nel triennio 2012-2014 il numero degli edifici costruito illegalmente sia stato tra il 45% e il 60%.
 
Come ricorda Legambiente ad alimentare l’abusivismo edilizio sono quasi sempre ragioni economiche: una casa abusiva può costare anche la metà di un edificio costruito in osservanza delle leggi, dal momento che l’intera filiera avrà un costo ridotto, materiali acquistati in nero, manodopera pagata in nero e la lista prosegue.
 
Nel frattempo gli italiani, che conoscono bene il disagio per i paesaggi degradati e per il peggioramento della qualità degli spazi pubblici, non sembrano tuttavia preoccupati dai rischi connessi all’eccessiva costruzione di edifici non a norma.
 
L’abusivismo è una emergenza che ci trasciniamo da decenni e su cui non si è mai mosso un dito. E non perché non esistano le leggi ma perché, come al solito, si è sempre un po’ “pigri” nell’attuarle. Una priorità per la politica nazionale potrebbe essere quella di rendere possibili le demolizioni, nonostante i costi elevati. In Italia dal 2001 al 2011 solo il 10% delle quasi 50 mila ordinanze emesse è stato effettivamente eseguito. Un meccanismo spesso bloccato dai ricorsi, dal baraccone amministrativo e dalle difficoltà economiche di molti comuni italiani.
Una soluzione concreta deve prevedere il principio che le demolizioni vadano attuate comunque, prevedendo magari degli incentivi per chi accetta di farsi abbattere la casa. Riducendo, si spera, rischi dell’ennesima tragedia annunciata.

Benedetta Fiani

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