Palazzi & potere

Business d’oro con la guerra. Vendiamo armi per 8 miliardi

Nel settore militare non c’è crisi che tenga, non c’è dittatura che tenga, non c’è Giulio regeni che tenga. Un’amara constatazione se si pensa che nel 2015 le autorizzazioni alla vendita di armi all’estero sono triplicate rispetto al 2014,  arrivando alla cifra record di oltre 8 miliardi. I numeri sull’export di materiale bellico li si aspettava da tempo. Non fosse altro per un motivo: la legge dice chiaramente che il Governo è tenuto a consegnare la relazione annuale entro il 31 marzo. Un tetto abbondantemente oltrepassato. Oggi sappiamo solo che il dossier è stato consegnato il 18 aprile dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio alle Commissioni di Camera e Senato che dovranno vidimare la relazione. Di più non è dato sapere. A rilevare, però, in esclusiva gli incredibili numeri contenuti nel dossier è stata l’organizzazione pacifista Nigrizia. Il dato è a dir poco clamoroso: l’anno scorso il valore globale delle licenze di esportazione concesse dal Ministero degli Esteri ha raggiunto gli 8.247.087.068 euro rispetto ai 2.884.007.752 del 2014. In altre parole, le autorizzazioni all’esportazione sono triplicate, come detto. Un boom (è il caso di dirlo) senza prece

dente. “Ci aspettavamo una crescita – dice a LaNotizia il potavoce della Rete per il Disarmo, francesco Vignarca - ma certamente non come quella che c’è stata. Qui parliamo di una vera e propria esplosione, perché non sono cresciute solo le autorizzazioni all’esportazione, ma anche le consegne effettive, per le quali siamo sui 4 miliardi di euro”. A parlare, d’altronde, sono i numeri. Secondo quanto riportato ancora da Nigrizia, nel 2015 le autorizzazioni definitive all’export sono state 2.775 contro le 1.879 del 2014, con una crescita del 48%. Percentuali, insomma, che non lasciano spazio a dubbi. Ma chi è che fa compere in Italia? I flussi di esportazione, commentano ancora da Nigrizia, si sono orientati soprattutto verso i Paesi europei e Nato: in percentuale si è passati dal 55,7% del 2014 al 62,6% dell’anno scorso. Poi l’Asia (dal 7,3% al 18,3%). Nordafrica e Medio Oriente hanno raggiunto invece l’11,8%. Andando ai singoli Stati, ecco che scopriamo che il maggior acquirente per il 2015 è stata la Gran Bretagna che è passata da 306 milioni a 1,3 miliardi. Una nota a parte per Singapore e Taiwan: il primo è passato dall’ aver acquistato armi, nel 2014, per un valore poco superiore al milione di euro, ai 381 milioni del 2015; il secondo da 1,4 milioni a 258.

Ma non finisce qui, continua Gazzanni sulla Notizia. Già, perché stando alla legge, l’Italia non potrebbe vendere armi a Paesi in cui vigono dittature, o che violano i diritti umani o, ancora, impegnati in guerre condannate dagli organismi internazionali. E invece le norme vengono costantemente eluse quando si tratta di business. “Ci sono casi in cui c’è un conflitto dichiarato, concreto – sottolinea ancora Vignarca - E pure in quel caso però il nostro Paese vende armi. Non so più allora cosa deve succedere affinché la legge non venga più elusa”. Qualche esempio? Esattamente come nel 2014 tra i maggiori acquirenti troviamo gli Emirati arabi (che hanno ricevuto materiale bellico per 304 milioni di euro) e l’Arabia Saudita (passata da 163 milioni a 258), entrambi impegnati in una sanguinosa guerra in Yemen, condannata dall’Onu e per la quale, addirittura, l’Europarlamento ha anche votato a favore di una mozione per l’embargo sulla vendita di armi. Una mozione evidentemente rimasta lettera morta. Una situazione insostenibile, dunque. “Il punto è che il Governo – commenta Vignarca - da anni cerca di depoliticizzare la vendita di armi, presentandola come mero business economico. Invece non è così: dietro c’è una concreta volontà politica. Non può essere altrimenti se si decide di continuare a vendere armi a Paesi come l’Egitto o l’Arabia”. Già, l’Egitto. Le autorizzazioni per l’esportazione di armi al Cairo sono passate da un valore di 31,7 milioni nel 2014 a 37,6 nell’anno appena trascorso. Fa niente per il corpo trucidato di Giulio Regeni. Ecco, forse se si volesse davvero mettere al-Sisi con le spalle al muro, piuttosto che fare annunci che spesso muoiono il giorno dopo, sarebbe il caso di interrompere la vendita di armi.