Palazzi & potere

Calamandrei spiega perche’ il premier non puo’ toccare la Costituzione

“Nella preparazione della Costituzione il Governo non ha alcuna ingerenza: può esercitare per delega il potere legislativo ordinario, ma nel campo del potere costituente non può avere alcuna iniziativa. Neanche preparatoria”.
 

“Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti. Estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formazione del progetto”.

“Se si affida al Governo o ad una commissione di tecnici non facenti parte dell’assemblea la preparazione del piano, la sovranità popolare viene menomata”.

 

Sarebbero bastate queste tre, semplici frasi e il principe dei giuristi Gustavo Zagrebelsky avrebbe messo in clamoroso, macroscopico fuorigioco il suo avversario Matteo Renzi nel super confronto davanti ai microfoni de La 7. Invece ha preferito parlare di parrucconi.

Le parole che avete letto,  scrive Andrea Cinquegrani sulla Voce delle Voci, sono state scritte, e pronunciate, da qualcuno che di Costituzione ne capiva, avendola inventata, Piero Calamandrei, il cui nome è finito sulla bocca di profani del calibro di un premier a totale digiuno di quella Carta, conosciuta al massimo attraverso i libri dello stesso professor Zagrebelsky con il quale ha interloquito. Per la disperazione di tanti italiani che avrebbero voluto – e vorrebbero – capirci qualcosa.

E per capirci qualcosa, purtroppo, occorre tornare a quelle parole di Calamandrei, che con grande acume Ferdinando Imposimato ci ha ricordato all’indomani del faccia a faccia e soprattutto del farneticante commento di Eugenio Scalfari pubblicato domenica sulle colonne di Repubblica.

Le parole Calamandrei hanno una enorme pregio: quello della semplicità e della chiarezza, in una materia di grande interesse pubblico ma ammazzata da politicanti, tecnicisti e parrucconi, appunto.
 

Ci voleva Calamandrei per sottolineare un dato che, da solo, fa tutta la differenza: il gioco è truccato, la partita è taroccata. Proprio come succede nel calcio: non solo se l’arbitro è venduto, se fa chiaramente il tifo per una squadra, ma anche se viene permesso ad una formazione di giocare in dodici, oppure di utilizzare un calciatore non in regola. E’ successo, per una quisquilia, a inizio campionato: il Sassuolo, che aveva vinto sul campo una partita con il Pescara, ma utilizzando, per i dieci minuti finali, un giovane della squadra Primavera non in regola con le autorizzazioni, ha poi perso la partita a tavolino.

Qui la questione è un appena un po’ più grossa, e riguarda i destini del nostro stupendo ma sventurato Paese, governato da bande di lanzichenecchi e orde di unni/visigoti che si alternato al banchetto.

 
Sarebbero bastate queste parole, dicevamo, per alzarsi dal tavolo e abbandonare il confronto: visto che l’avversario non ha le carte in regola e nasconde gli assi nel taschino. Oppure per portarlo avanti, ma avendo fatto capire con chiarezza e rigore – morale, giuridico, scientifico – che la partita è truccata, che chi mi sta di fronte non è legittimato, non dovrebbe trovarsi lì ma altrove, a dirigere il governo (incarico per il quale non è stato mai neanche scelto dal popolo dopo una normale elezione) e osservare la partita sulla Costituzione da spettatore, senza intervenire neanche di un millimetro, come osservava Calamandrei.

Invece, un premier a tutto campo, solo nelle forme british (“con tutto il rispetto”, “ho studiato sui suoi testi”), ma nella sostanza autore di tackle e falli da cartellino che più rosso (è il solo caso di rosso per Renzi nella vita, ne siamo sicuri) non si può.

Ma quale arbitro può mai sanzionare l’espulsione dal match del premier? Nessuno.