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Palazzi & potere
La demografia perduta

Nel 2015, per la prima volta dal secondo dopoguerra, la popolazione italiana ha smesso di crescere. Un declino lieve, di per sé, ma preoccupante poiché i dati reali sono leggermente peggiori rispetto alle previsioni. Secondo i dati Istat, pubblicati pochi giorni fa, ci separano solo trent’anni dal picco di invecchiamento della popolazione italiana, ossia tra il 2045 e il 2050, quando le popolose coorti dei baby boomers passeranno dalla tarda età lavorativa alla senilità. In poche parole, abbiamo ignorato la demografia troppo a lungo.

L’Italia ha attraversato svariate fasi di crescita dal dopoguerra in poi, con diverse combinazioni tra l’incremento naturale e i flussi migratori. Nel 1951, la consistenza demografica del paese risultava di circa 47,5 milioni. Una crescita prodotta dalla “transizione demografica”, ovvero dal passaggio dagli elevati livelli di mortalità e di natalità del passato ai bassi livelli propri delle società avanzate contemporanee. I primi decenni del dopoguerra sono poi stati un periodo caratterizzato da una nuova effervescenza demografica, che ha toccato l’apice con il baby boom a metà anni Sessanta. Tra gli anni ‘80 e ‘90 del XX secolo la popolazione anziché crescere la popolazione ha iniziato ad invecchiare. A compensare, solo in parte, questo processo è intervenuta l’inversione dei flussi migratori: dall’eccedenza delle uscite ad una inedita e progressiva eccedenza delle entrate.

Tuttavia, lo scenario futuro è quello di una popolazione che diminuisce ed invecchia, con tutte le implicazioni del caso per il mercato del lavoro. L’età media dei dipendenti è ormai in quasi tutti gli ambiti prossima ai 50 anni ed oltre. Ma lo stupore è degli ingenui: è sufficiente pensare che tra il 2015 e il 2030 ci saranno 5,1 milioni in più di cittadini con età dai 55 anni e più, mentre i 15-24enni diminuiranno di 2,5 milioni. Sono numeri su cui è necessario riflettere, tenendo a mente che oggi ogni 100 lavoratori occupati ci sono 71 pensionati.

Teniamo in conto della transizione demografica: tra il 2008 e il 2013 è cresciuto di oltre un milione il collettivo di persone al lavoro, soprattutto per il ricambio generazionale. Sono entrate in questa soglia di over 50 le coorti più numerose di alcune generazioni di baby boomers (1958-1946, circa 4,4 milioni di persone che nel 2008 avevano 45-49 anni), mentre sono andate in pensione persone appartenenti a coorti meno numerose nate tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della ricostruzione. Quel milione di over 50 occupati in più non è dunque determinato soltanto dall’innalzamento del requisito per la vecchiaia scattato nel 2012 o dalle restrizioni al pensionamento determinate con la “finestra mobile”.

Il quadro è preoccupante, e per non condannarci al declino economico e all’insostenibilità dello stato sociale, occorre puntare su politiche attive (che oggi non abbiamo) e su piani lungimiranti di rinnovo demografico. Ignorare così a lungo la demografia ha messo a repentaglio il percorso di sviluppo del nostro Paese per molti anni a venire.

Benedetta Fiani

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