Le Zone economiche speciali fanno bene al Mezzogiorno?
Ritornano le Zone economiche speciali (Zes), intenzione ciclica del Governo di turno, da localizzare al Sud Italia. Le Zes hanno come obiettivo quello di attrarre investimenti esteri o extra-regionali, attraverso incentivi, agevolazioni e deroghe normative.
Nel mondo esistono circa 2700 Zes, Cina e Dubai sono gli esempi più conosciuti. In Europa se ne contano una settantina, 14 delle quali istituite in Polonia. E proprio la Polonia rappresenta un case study interessante. La misura più importante delle Zes polacche è la corporate income tax che può oscillare tra il 25% e il 55% a seconda di una serie di variabili. Per ottenere l’esenzione, le imprese devono ricevere un’apposita autorizzazione che è subordinata ad una serie di condizioni, come un investimento minimo di 100.000 euro o il mantenimento del business e della forza lavoro nell’area per almeno 5 anni. Se quanto dichiarato non si verifica, l’impresa è costretta a restituire gli aiuti ricevuti.
Un paper recente ha sottolineato alcuni aspetti positivi delle Zes sul fronte dell’occupazione e degli investimenti in Polonia tra il 2003 e il 2012, contribuendo ad una crescita media del PIL nelle regioni interessate pari al 4,12%. Tuttavia il caso polacco va contestualizzato nelle generali performance macroeconomiche positive dell’intera nazione, che tra il 1992 e il 2008 è cresciuta in media di quasi il 4,5% e che ha resistito piuttosto bene all’onda tragica della crisi del 2008.
Parlando di Sud Italia, la musica cambia di parecchio. Il Meridione italiano è caratterizzato da un gap di produttività maggiore di 30 punti rispetto al Centro-Nord, sebbene il costo del lavoro sia uguale, e la difficoltà di fare impresa rimane un freno pesantissimo alle prospettive di crescita. Queste considerazioni potrebbero far propendere in favore delle Zes, ma non dimentichiamoci che esistono già delle agevolazioni territoriali per il Sud, come le Zone Franche Urbane, con risorse impegnate pari a centinaia di milioni di euro.
L’assuefazione alla specialità è uno dei maggiori rischi sottesi all’introduzione delle Zes nel Sud. Un’eventuale crescita economica ed occupazionale, scrive Francesco Bruno (http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/05/02/fare-impresa-sud/) potrebbe interrompersi al termine del programma a causa della debolezza socio-istituzionale che contraddistingue il Mezzogiorno, ridimensionando il vantaggio competitivo. Debolezza socio-istituzionale che si rileva anche negli scarsi risultati prodotti dai miliardi spesi grazie agli aiuti comunitari. Si potrebbe obiettare che le Zes, nella forma di agevolazioni, non avrebbero bisogno del filtro politico per allocare i benefici, ma restano comunque enormi dubbi, vista la mole di sprechi e i dirottamenti verso l’illegalità.
Le Zes hanno successo solo quando provocano trasformazioni strutturali nelle economie interessate. Se questo non avviene si finisce per accentuare distorsioni già esistenti, come il caso della Repubblica Domenicana. Le storie di successo, come il Miracolo di Shenzhen, sono perlopiù il frutto di esperimenti di apertura al libero commercio in territori restii ad avviare riforme economiche di stampo liberale.
Sono moltissimi invece i casi di fallimento, come le Zes africane, che non hanno prodotto i risultati sperati a causa di poche infrastrutture e burocrazie inefficienti. La conseguenza di ciò è che l’introduzione delle Zes potrebbe stimolare positivamente nel breve periodo un’economia annaspante come quella meridionale, ma i nodi di lungo periodo, come l’illegalità, il gap infrastrutturale, una pubblica amministrazione inefficiente, verrebbero presto al pettine. Con il rischio di protrarre sine die la già menzionata assuefazione alla specialità.
Benedetta Fiani